mercoledì 27 agosto 2014

Grand Budapest Hotel

5 buoni motivi per guardare Grand Budapest Hotel e scoprirsi di fronte a un'opera d'arte surrealista:


1) perché Grand Budapest Hotel è a tutti gli effetti un film d’azione ambientato all'inizio del Novecento nell'immaginaria repubblica mitteleuropea di Zubrowka, il primo di Wes Anderson a sconfinare in questo genere nonostante un avvio da commedia leggera: pieno zeppo di fughe rocambolesche e folli inseguimenti, di travestimenti ridicoli e sparatorie sconclusionate, con tanto di colpo di scena finale alla Alfred Hitchcock, ha l'enorme pregio di non perdere per strada la personale e raffinata percezione del mondo del regista texano, qui giunto alla sua ottava fatica;

2) perché è bizzarro e spiazzante il meccanismo in base al quale durante il film il formato dello schermo cambia in base al periodo storico di riferimento: si passa dal panoramico per le scene ambientate al giorno d'oggi, al wide screen (più stretto e lungo, tipo Cinemascope) per quelle negli anni Sessanta, fino al classico Academy (quasi quadrato) per gli anni Venti e Trenta 

3) perché il ricco cast è, in una parola, magnifico: questo vale sia per gli attori feticci di Anderson (Bill Murray, Adrien Brody, Tilda Swinton, Willem Dafoe, Owen Wilson, Edward Norton) che per quelli alla loro "prima volta" (Jude Law, Léa Seydoux, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric). Su tutti ovviamente un istrionico Ralph Fiennes, per il quale il regista ha appositamente scritto il ruolo del concierge del Gran Budapest Hotel, vanesio e permaloso ma (in fondo...) sopratutto leale e altruista; 

4) perché all'interno della storia (sia quella in senso stretto che ci racconta il film, sia quella con la S maiuscola che gli fa da sfondo), ce ne sono tante altre fantasiosamente assurde: per citarne una, quella della setta segreta delle "Chiavi Incrociate", una misteriosa confraternita clandestina che riunisce i concierge dei migliori alberghi di tutto il mondo e in grado di influenzare i destini delle persone;

5)  perché l'estetica di Grand Budapest Hotel è quella calda e colorata tipica dei film di Wes Anderson (sebbene un progressivo incupirsi dei colori con l'avvento della guerra). Sempre a metà tra fiaba e realtà, ogni costume, ogni scenografia, ogni scena, risulta elegantemente costruita, e ci sono alcuni dettagli vintage che, pur apparendo per pochi secondi, faranno impazzire gli appassionati: dal modellino dell'hotel che in realtà non esiste (pur essendo classificato su Trip Advisor come "il migliore hotel della Repubblica di Zubrowka") ai quotidiani immaginari ricostruiti alla perfezione, così come i tanti "preziosi" dolcetti preparati da una pasticceria tedesca addirittura in base a precise indicazioni del regista    



Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)