sabato 6 agosto 2016

Boyhood

5 buoni motivi per cui Boyhood è un film epocale che si vede una sola volta nella vita:


1) perché impegnarsi per 144 mesi (iniziato nel lontano 2002 e portato a termine ben 12 anni dopo, al netto di una quarantina di giorni di di riprese!) è stato un vero e proprio atto di fede da parte di Richard Linklater e di tutti gli attori coinvolti: non solo Ellar Coltrane, il bambino di appena sei anni scelto come protagonista e le cui (non) avventure seguiamo per le quasi tre ore del film, ma anche Ethan Hawke, Patricia Acquette (giustamente premiata con l'Oscar per la sua interpretazione) e Lorelei Linklater, la figlia del regista nei panni della sorella maggiore. E la macchina da presa di Linklater (Orso d'Argento a Berlino per la regia) riesce a cogliere ogni cambiamento, ogni minima trasformazione non solo fisica ma anche e soprattutto interiore: bambini che diventano uomini, giovani che diventano padri, finché tutti alla fine trovano il loro posto nel mondo... e noi con loro;

2) perché se già con la struggente trilogia di Jesse (sempre Ethan Hawke) e Celine (un'incantevole Julie Delpy) Linklater aveva sperimentato attorno alla sua poetica di regista il concetto dello scorrere del Tempo, con Boyhood riesce a raggiungere un altro livello esperienziale: mentre allora lo aveva fatto attraverso la descrizione di tre giornate passate insieme dai due ragazzi nell'arco di vent'anni (Before Sunrise, 1994 - Before Sunset, 2004 - Before Midnight, 2013), con Boyhood mette in scena il vero fluire della vita non limitandosi a un collage di immagini disseminate nel tempo e fine a loro stesse. Tanti elementi uno dietro l'altro, infiniti piccoli accadimenti mai romanzati e che proprio per questo emergono con la stessa naturalezza con cui le nostre esistenze ci attraversano;


3) perché tutto il film è una riflessione intima ed essenziale ma al tempo stesso con una dimensione epica sulla natura umana e su tutte le fasi che l'attraversano: dall'infanzia alla fanciullezza, dall'adolescenza alla vita adulta, una parafrasi in cui come simbolicamente sancisce il dialogo finale "non siamo noi a cogliere l'attimo, ma sono gli attimi a cogliere noi stessi, conferendo significato al presente". Attimi semplici, a volte addirittura banali, che però grazie all'umanità dei suoi protagonisti raggiungono quasi sempre profondità insondabili;

4) perché la storia di Mason/Ellar, pur essendo senza dubbio un romanzo di formazione individuale, attraverso il racconto delle vicissitudini di una famiglia comune, si rivela in grado di dipingere un affresco completo su dodici anni di vita in America e più in generale, da un punto di vista politico, culturale e tecnologico, sull'evoluzione storica che nel frattempo è intercorsa: le macchine, le mode e i tagli di capelli che cambiano, il passaggio da Bush a Obama, dal Game Boy alla X-Box attraverso il Tamagotchi, l'avvento di Harry Potter, di Lady Gaga e di Facebook. Insomma, la vita che si fa cinema e, al tempo stesso, il cinema che diventa vita;


5) perché Linklater, senza mai eccedere in eccessi cinefili, riesce a catturare con naturalezza lo spettatore avvolgendolo delicatamente nelle spirali del tempo che scorre e facendogli vivere un'esperienza che comprende tutte le ere della vita: così Boyhood diventa uno specchio per i figli e i genitori, per i mariti e le mogli, ma in generale per ognuno di noi quando si trova alle prese con le speranze e le gioie, le emozioni e le paure che sono proprie dell'umanità tutta.


Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)

boyhoodmovie.tumblr.com