giovedì 17 ottobre 2019

Joker

5 buoni motivi per cui Joker è il film dell’anno:


1) perché una colonna sonora maestosa ci accompagna con fare evocativo durante la trasformazione di Arthur Fleck nel Joker: lo fa da un lato con meravigliosi brani come Smile e That’s life di Frank Sinatra a fare da sfondo alle scene più importanti, dall’altro con la partitura classica firmata da Hildur Guðnadóttir, compositrice islandese che affidandosi a oscuri violini, sintetizzatori e percussioni ha creato cupe composizioni capaci di evocare magnificamente lo stato d’animo del suo protagonista;

2) perché Joaquin Phoenix è magnetico, intenso come non mai, un folle semplicemente perfetto. Ma al tempo stesso, nella sua sofferta inquietudine, riesce ad apparire anche fragile, imprevedibile e a volte dolorosamente insopportabile. Una recitazione sempre sopra le righe ma mai eccessiva, oltre venti chili persi per risultare ancor più disperato, ma soprattutto un'inquietante risata emblema ultimo della pazzia, ad accompagnare la sua lotta contro una società nemica. Richiamando esplicitamente il Travis Bickle di Taxi Driver (e qui si apre il cerchio con De Niro), Phoenix mette in scena un male reale e diffuso, che porta un individuo disfunzionale qual è Arthur ad essere elevato a simbolo del conflitto sociale; 

3) perché Todd Phillips, fino a questo momento regista solo di commedie sgangherate, è una sorprendente scoperta sia a livello visivo che psicologico, tanto da vedersi consegnare il Leone d'Oro alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia. Tutto ciò al netto di un confronto impari con Scorsese che viene omaggiato di continuo non solo nei rimandi a Taxi Driver ma anche a Quei bravi ragazzi (ancora De Niro) e sopratutto a Re per una notte dove sempre De Niro, pur di diventare un comico affermato, arriva a sequestrare il presentatore di un noto show televisivo. Grazie a una storia che sta tra realtà e finzione, Phillips disegna una Gotham City povera e violenta, simile alla New York degli anni '70, con uno stile sempre sospeso tra il patinato e il ruvido: ci racconta un personaggio noto a tutti ma in modo nuovo e originale perché se è vero che Joker si ispira a The Killing Joke di Alan Moore, nello sviluppo ne prende volutamente le distanze; 

4) perché Joker è un film che a un secondo livello di analisi parla di conflitti di classe, di una città che brucia di rabbia e di un'economia sanguisuga che toglie alla gente il diritto di essere curati, di avere un lavoro, finanche di esistere. E se la sola risposta che Gotham riesce a dare è affidare il suo futuro a un miliardario di nome Thomas Wayne, il punto diventa allora come trasformare una rabbia individuale in sommossa collettiva: la risposta è nascosta dietro a inquietanti maschere da clown (che ricordano quelle di V for vendetta, serie a fumetti scritta dalla stesso Alan Moore) che fanno dell’angoscia non solo la cifra stilistica di questo Joker, quanto quella ideologica a simboleggiare un mondo alla deriva che si consuma una sigaretta dopo l'altra;

5) perché non c'è nessun dubbio che questo Joker non sia un folle qualunque, bensì il vero arcinemico e nemesi di Batman, ragione ultima della sua stessa esistenza: eroe ed anti-eroe, uno nero l'altro variopinto, uno perennemente arrabbiato l'altro sempre ghignante, uno rigido e morale l'altro imprevedibile e anarchico. Ma se è noto come Bruce Wayne sia diventato Batman (tanto che qui bastano un paio di veloci rimandi a villa Wayne e alla scena dell'assassinio dei suoi genitori fuori dal teatro) perché tanto tutto è già stato narrato, nulla invece si conosce delle origini del Joker: per questa ragione Joker non tralascia niente e, anzi, entra così tanto nel dettaglio da arrivare infine a farci dubitare della sua stessa autenticità. 


Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)





giovedì 14 febbraio 2019

Il corriere - The Mule

5 buoni motivi per cui Il Corriere - The Mule è un film che non ha paura di niente:


1) perché Clint Eastwood non ha paura di invecchiare e a 89 anni sembra solo volersi godere l'ultimo (?) viaggio a bordo del suo pick-up Ford diventando un corriere della droga (un "mulo" appunto), anzi il numero uno tra i corrieri, e usare bene il poco tempo che gli resta a disposizione: ma a muoverlo non sono i soldi quanto il desiderio di non avere rimpianti e di mettersi in pari con la sua famiglia, i suoi amici reduci, finanche gli stessi capi della droga (su tutti un Andy Garcia in stato di grazia) che ne hanno riconosciuto immediatamente il grande coraggio e lo smisurato senso del dovere; 

2) perché Clint Eastwood non ha paura di sembrare ridicolo ballando con fare goffo e impacciato, ammettendo di non saper mandare messaggi col cellulare come un anziano qualunque, o avendo improbabili incontri "romantici" che mettono a serio rischio il suo cuore: lo fa invero, anche grazie a una regia volutamente asciutta ed essenziale, per sottolineare tutta la sua fragilità, le sue debolezze e la sua vecchiaia. E se solo gli occhi (di ghiaccio) sembrano essere rimasti gli stessi, tutto il resto è diventato decadente e malinconico come la canzone di Johnny Cash che canticchia in uno dei suoi viaggi dal Mexico a Chicago; 

3) perché Clint Eastwood non ha paura di sembrare politicamente scorretto e ne ha per tutti, ma sempre con quel sorriso meraviglioso stampato in faccia e soprattutto senza un briciolo di razzismo: che siano "lesbiche" cui dà consigli per riparare la moto, "negri" che è felice di aiutare a cambiare una gomma bucata, "mangiafagioli" cui offre il pranzo, non c'è una volta in cui non sia mosso da buoni sentimenti grazie ai quali tutti finiscono per passarci sopra facendogli l'occhiolino, lasciandosi aiutare, diventando suoi amici. In fondo è un veterano della guerra di Corea (altra strizzata d'occhio a Gran Torino) cui tutto si permette perché ormai è innocuo e non può più fare del male a nessuno; 

4) perché Clint Eastwood non ha paura di morire e, anche se la morte è presente in tutto il film (così come in quasi tutti i suoi film), ne parla in modo dolce e delicato come se non fosse una questione da temere, solo da gestire con coscienza. Una tappa qualunque di un viaggio che deve portare a termine, senza multe né intoppi, che noi abbiamo il privilegio di osservare tifando per lui (tra l'altro sospendendo ogni giudizio sulla moralità delle sue azioni...) ogni volta che un poliziotto o un agente delle DEA (un ottimo Bradley Cooper ancora con lui dopo American Sniper) lo stanno per smascherare;
       
5) perché Clint Eastwood non ha paura di affrontare le conseguenze delle sue azioni e alla fine rifugge da ogni facile scappatoia. Chiedendo, infatti, scusa a tutto e tutti, va oltre i confini della sala cinematografica: perché se nella vita ha commesso tanti errori, alcuni irreparabili, e troppe volte è stato egoista mettendo se stesso (e i suoi fiori) davanti ai propri cari, ora è arrivato il momento di espiare ogni colpa di cui si è macchiato, quelle di corriere della droga, quelle di padre e marito assente, ma soprattutto quelle di Uomo. 


Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)