giovedì 14 febbraio 2019

Il corriere - The Mule

5 buoni motivi per cui Il Corriere - The Mule è un film che non ha paura di niente:


1) perché Clint Eastwood non ha paura di invecchiare e a 89 anni sembra solo volersi godere l'ultimo (?) viaggio a bordo del suo pick-up Ford diventando un corriere della droga (un "mulo" appunto), anzi il numero uno tra i corrieri, e usare bene il poco tempo che gli resta a disposizione: ma a muoverlo non sono i soldi quanto il desiderio di non avere rimpianti e di mettersi in pari con la sua famiglia, i suoi amici reduci, finanche gli stessi capi della droga (su tutti un Andy Garcia in stato di grazia) che ne hanno riconosciuto immediatamente il grande coraggio e lo smisurato senso del dovere; 

2) perché Clint Eastwood non ha paura di sembrare ridicolo ballando con fare goffo e impacciato, ammettendo di non saper mandare messaggi col cellulare come un anziano qualunque, o avendo improbabili incontri "romantici" che mettono a serio rischio il suo cuore: lo fa invero, anche grazie a una regia volutamente asciutta ed essenziale, per sottolineare tutta la sua fragilità, le sue debolezze e la sua vecchiaia. E se solo gli occhi (di ghiaccio) sembrano essere rimasti gli stessi, tutto il resto è diventato decadente e malinconico come la canzone di Johnny Cash che canticchia in uno dei suoi viaggi dal Mexico a Chicago; 

3) perché Clint Eastwood non ha paura di sembrare politicamente scorretto e ne ha per tutti, ma sempre con quel sorriso meraviglioso stampato in faccia e soprattutto senza un briciolo di razzismo: che siano "lesbiche" cui dà consigli per riparare la moto, "negri" che è felice di aiutare a cambiare una gomma bucata, "mangiafagioli" cui offre il pranzo, non c'è una volta in cui non sia mosso da buoni sentimenti grazie ai quali tutti finiscono per passarci sopra facendogli l'occhiolino, lasciandosi aiutare, diventando suoi amici. In fondo è un veterano della guerra di Corea (altra strizzata d'occhio a Gran Torino) cui tutto si permette perché ormai è innocuo e non può più fare del male a nessuno; 

4) perché Clint Eastwood non ha paura di morire e, anche se la morte è presente in tutto il film (così come in quasi tutti i suoi film), ne parla in modo dolce e delicato come se non fosse una questione da temere, solo da gestire con coscienza. Una tappa qualunque di un viaggio che deve portare a termine, senza multe né intoppi, che noi abbiamo il privilegio di osservare tifando per lui (tra l'altro sospendendo ogni giudizio sulla moralità delle sue azioni...) ogni volta che un poliziotto o un agente delle DEA (un ottimo Bradley Cooper ancora con lui dopo American Sniper) lo stanno per smascherare;
       
5) perché Clint Eastwood non ha paura di affrontare le conseguenze delle sue azioni e alla fine rifugge da ogni facile scappatoia. Chiedendo, infatti, scusa a tutto e tutti, va oltre i confini della sala cinematografica: perché se nella vita ha commesso tanti errori, alcuni irreparabili, e troppe volte è stato egoista mettendo se stesso (e i suoi fiori) davanti ai propri cari, ora è arrivato il momento di espiare ogni colpa di cui si è macchiato, quelle di corriere della droga, quelle di padre e marito assente, ma soprattutto quelle di Uomo. 


Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)