martedì 18 maggio 2021

La donna alla finestra

5 buoni motivi per cui Una donna alla finestra è un film dal potenziale sprecato:


1) perché è un film che rilegge il capolavoro La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock (omaggiato direttamente dalla protagonista che lo guarda in tv) in una chiave di lettura talmente accessibile e immediata da risultare scontata: a stare alla finestra, questa volta non è un fotoreporter armato di macchina fotografica ma la meravigliosa Amy Adams, una psicologa costretta in casa dall’agorafobia scatenata da un profondo trauma che viene svelato nel dipanarsi della storia, resa mentalmente sempre più instabile da un’escalation di eventi che accadono all’interno della sua “prigione” fisica e psichica;

2) perché è un cast stellare a tenere in piedi un'architettura che più di una volta traballa: Amy Adams è davvero eccezionale quando viene presa dal terrore e dà vita a una performance strabiliante, l'ennesima dopo quella che l’aveva vista protagonista nel bellissimo e sofferente Elegia Americana, sempre targato Netflix. Non solo la Adams che giustamente si prende il centro della scena, ma anche due premi come Oscar Gary Oldman e Julianne Moore sono in grande spolvero, perfettamente a loro agio nel ruolo degli inquietanti vicini che sembrano divertirsi a trascinarla in una dimensione di incubo;

3) perché la regia di Joe Wright è sì elegante ma finisce con il diventare pretenziosa quando il regista britannico – perfetto e pulitissimo ne L’ora più buia – gioca a manipolare il tono del film che da thriller onirico dai tratti fortemente hitchcockiani devia su una dimensione teatrale più artefatta e posticcia, in un vortice di ansie e ossessioni che dovrebbero essere tanto della Adams quanto di noi spettatori;

4) perché i tanti omaggi a Alfred Hitchcock e le infinite citazioni a capolavori del passato come Omicidio a luci rosse di Brian De Palma, finiscono presto con l’annoiare e diventano un gioco fine a sé stesso: la dimensione meta-cinematografica viene messa al mero servizio di una trama dove realtà e finzione, sogno e incubo arrivano a confondersi e confondere un pubblico (subdolamente) ingannato dal loop delle percezioni di una Amy Adams sempre alterata da alcool e medicine;


5) perché il senso di angoscia che ogni buon thriller dovrebbe trasmettere attraverso i continui depistamenti, misteri e doppi giochi, si sfilaccia via troppo presto e, quando diventa chiaro dove Wright e tutti gli attori ci stanno portando, la trama de La donna alla finestra finisce con il diventare quasi respingente... A quel punto non si aspetta altro che termini la notte e arrivi (l’annunciato) lieto fine a svegliare la Adams dal suo incubo. 


Voto: 2 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)





domenica 7 febbraio 2021

Malcom & Marie

5 buoni motivi per cui una lite infinita tra due innamorati può diventare un ottimo film d’autore:


1) perché i due meravigliosi protagonisti, John David Washington (figlio di Denzel, recentemente ammirato in TENET) e Zendaya (giovane cantante e attrice resa famosa dalla serie tv Euphoria), danno vita a una performance fisica al limite della perfezione, dove vanità e invidia sono direttamente proporzionali alla rabbia innescata da un mancato grazie che doveva esser detto nel momento giusto. E così il momento più bello della vita dell’uno diventa per l’altra l’occasione per una recriminazione a lungo sepolta sotto la vanagloria e l’egocentrismo del compagno regista, innescando un sempre più asfissiante gioco al massacro tra i due ma soprattutto tra loro due e gli spettatori;

2) perché la sceneggiatura, ridotta al minimo e interamente basata sulla potenza e sulla ferocia dei dialoghi, assume da subito le sembianze di una violenta partita di tennis: tra continui rimandi dalla vita reale dei due alla finzione del film di Malcom, il pubblico non riesce a staccare gli occhi dalla loro lite guardando prima il devastante servizio dell’uno e poi la maligna risposta l’altra, il dritto con cui lui cerca disperatamente di mandarla fuori dal campo e l’eroico tentativo di recuperare il punto di lei;

3) perché, girato in piena pandemia, è un film dall’impianto teatrale dove gli opposti non smettono mai di attrarsi: i due attori che si insultano, si allontanano, per poi cercarsi immediatamente dopo; la perfetta fotografia in bianco e nero che tutto enfatizza (l’unico tocco di colore è il rosso iniziale del logo di Netflix); il silenzio totale di alcuni momenti cui fanno da contraltare le grida e gli insulti; le quattro mura (si fa per dire) di una casa che li contiene in modo claustrofobico e gli spazi apparentemente infiniti che stanno attorno e dove loro rifuggono;

4) perché è una storia talmente cruda, per regia e scrittura, da diventare un coraggioso manifesto di quello che dovrebbero fare (certe) pellicole: vale a dire, a detta dello stesso Malcom, arrivare dritto al cuore degli spettatori, elettrizzarli senza costringerli a cercare per forza un significato dietro alle intenzioni del regista, piuttosto che una qualsivoglia lettura politica nascosta nelle pieghe della sceneggiatura;

5) perché è un film per chi davvero ama il cinema nella sua infinita potenza comunicativa, pieno zeppo di citazioni mai gratuite visto che a parlare sono appunto un egocentrico regista, da tanti acclamato come il nuovo Spike Lee (per cui John David Washington ha recitato in BlackKklansman) o il nuovo John Singleton, e un’attrice fallita il cui unico sogno sarebbe stato quello di recitare nel capolavoro che il suo compagno ha scritto (forse) ispirandosi a lei.
 

Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)