lunedì 29 agosto 2022

Nope

5 buoni motivi per cui Nope è per Jordan Peele il film giusto al momento giusto: 


1) perché è un horror che però ha il grande merito di distaccarsi per forma e contenuto dalle due precedenti opere di Peele: mentre Get Out (sfolgorante pellicola d’esordio che gli ha garantito l’Oscar per la miglior sceneggiatura) e, con le dovute differenze, Us potevano essere incasellati alla perfezione nel genere, Nope – pur presentando i principali stilemi orrorifici – nel suo insieme lo è in modo atipico e sui generis, riuscendo così ad allontanare il talentuoso regista newyorkese da una classificazione che, se oggi va di gran moda pensando ad esempio a Robert Eggers e ad Ati Aster, alla lunga avrebbe corso il rischio di andargli stretta (Shyamalan insegna);
 
2) perché è un classico film di fantascienza in perfetto stile E.T. o Incontri ravvicinati del terzo tipo ma, come viene intelligentemente detto da uno dei personaggi, qui non si parla più di UFO (Unidentified Flying Object) bensì di UAP (Unidentified Aerial Phenomena). E non si tratta di una distinzione solo onomastica – tant’è che anche la Nasa e il Pentagono oggi indagano ufficialmente e scientificamente questi fenomeni – ma sostanziale, perché l’alieno di Peele è lontano anni luce da quelli di Spielberg: in Nope viene descritto come un “brutto miracolo”, violenta metafora dei tempi che cambiano, essendo più un predatore territoriale arrabbiato e vorace che un simpatico omino verde alla disperata ricerca di un modo per tornare a casa;

3) perché è un western a tutti gli effetti, con tanto di ranch e cavalli, che permette a Peele di dichiarare tutto il suo amore per il Cinema grazie a quello che viene definito il “genere americano per eccellenza”. Lo fa attraverso la storia dei due fratelli protagonisti, discendenti di una famiglia di ammaestratori di animali per le Major hollywoodiane nonché pro-nipoti del fantomatico fantino che era al galoppo di un cavallo in uno dei primi esperimenti cinematografici della storia (la serie di figure Animal Locomotion del 1872 di Eadweard Muybridge). Ma soprattutto Peele sfrutta al meglio le potenzialità che il western gli concede: tecnologia IMAX per campi lunghissimi a mostrare lande desolate o cieli pieni di nuvole (nascondigli aerei semplicemente perfetti), e spericolate corse a cavallo per ricreare un immaginario che rimanda volutamente agli inseguimenti tra indiani e cow-boy;

4) perché è una lucida pellicola di denuncia e aspra critica sociale che, al contrario di quanto successo in passato, dove Peele si era concentrato sulla questione afroamericana principalmente rispetto ai temi del razzismo e delle disparità tra classi sociali, si apre ora a tutta la società: quello che viene messo sotto l’occhio del riflettore, infatti, è l’attuale smania di condivisione che trova nei social e nei media i principali strumenti per alimentare in modo morboso e alienante la voglia di “guardare”. Attraverso uno spettacolo nello spettacolo, Nope demonizza le leggi della medialità e la moderna necessità di trasformare ogni cosa e ogni momento in un show a discapito di una dimensione più intima e privata;

5) perché in fondo, al di là di qualsiasi rimando filosofico nascosto dietro alle nuvole e oltre ogni messaggio universale consacrato nella cruenta scena del massacro televisivo ad opera di una scimmia assassina (sicuramente il momento più inquietante di tutto il film con evidenti rimandi a una violenza di kubrickiana memoria), Nope è un perfetto blockbuster estivo: due ore di fughe mozzafiato, inquietanti attese, misteri angoscianti e, molto probabilmente, destinati a restare tali in nome di un orrore cosmico che il più delle volte – come ci ha insegnato Lovecraft – sfugge all’umana comprensione e alla necessità di trovare risposte a ogni fatto enigmatico. 


Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)