giovedì 2 novembre 2023
Killers of the Flower Moon
mercoledì 30 agosto 2023
Oppenheimer
5 buoni motivi per cui Nolan con Oppenheimer è arrivato davvero vicino a Kubrick:
2) perché Nolan riesce a scrivere
e magistralmente a dirigere un film su Oppenheimer uomo e scienziato, che diventa
un film sulla Storia anche grazie a una fotografia la cui importanza è simile a quella di Barry Lindon: lo
fa per merito di una serie di scelte stilistiche che, passando senza sosta dal colore al bianco e nero, intrecciano da un punto di vista cromatico l’ottimismo
intrinseco nel lavoro di Oppenheimer con la freddezza e l’asetticità della guerra
e della politica;
3) perché richiamando alla memoria le implicazioni filosofiche presenti nelle maglie narrative de Il dottor Stranamore, Nolan trasforma un film storico ed epico incentrato sulla bomba atomica e sulla seconda guerra mondiale in un vero e proprio thriller esistenziale dove Oppenheimer diventa un novello Prometeo tormentato dal suo genio: “Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi” recita, infatti, lo scienziato citando il testo sacro indù del Bhagavad Gita dopo il primo test nucleare nel luglio del 1945, ben sapendo che – anche a causa sua – da lì in avanti il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Per tutto il film (e per tutta la vita) Oppenheimer sembra restare schiacciato dal senso di colpa di aver “solo fatto il suo dovere” di fisico senza riuscire a perdonarsi l’aver indagato il miracolo dell’atomo;
4) perché anche se Oppenheimer è un film prettamente visivo, Nolan ha chiesto a Ludwig Goransson, già suo collaboratore in TENET, delle musiche che oltre a creare una forte tensione emotiva, ben si adattassero al crescendo di preoccupazioni morali di Oppenheimer: ne esce una colonna sonora fatta di archi e violini talmente ossessivi che, al pari della Nona Sinfonia di Beethoven in Arancia Meccanica costantemente e visceralmente legata alle azioni del drugo Alex, per lunghi tratti addirittura oscura i dialoghi sullo schermo come fosse il suono di un’esplosione atomica che tutto azzera;
5) perché Nolan, grazie a una sceneggiatura che scorre via fluida per tre ore (al contrario di quanto era avvenuto in TENET), mette in piedi un’architettura in grado di raccontare i vari momenti della vita di Oppenheimer attorcigliandoli su tre diversi piani temporali: saltando avanti e indietro nel tempo e spaziando tra punti di vista soggettivi e oggettivi, Nolan sospende ogni giudizio morale su Oppenheimer limitandosi a evidenziare la complessità dell’essere diventato “il padre della bomba atomica” e le contraddizioni di un uomo chiamato a far i conti con la morte. Esattamente come il soldato Joker di Full Metal Jacket (l’indimenticato Matthew Modine tra l’altro presente anche in Oppenheimer seppur in un ruolo minore) che sull’elmetto, a fianco il simbolo della pace, aveva la scritta Born to kill a rappresentare la schizofrenia della guerra.Voto: 4 stelline (ovviamente
nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)
lunedì 29 agosto 2022
Nope
5 buoni motivi per cui Nope è per Jordan Peele il film giusto al momento giusto:
1) perché è un horror che però ha il grande merito di distaccarsi per forma e contenuto dalle due precedenti opere di Peele: mentre Get Out (sfolgorante pellicola d’esordio che gli ha garantito l’Oscar per la miglior sceneggiatura) e, con le dovute differenze, Us potevano essere incasellati alla perfezione nel genere, Nope – pur presentando i principali stilemi orrorifici – nel suo insieme lo è in modo atipico e sui generis, riuscendo così ad allontanare il talentuoso regista newyorkese da una classificazione che, se oggi va di gran moda pensando ad esempio a Robert Eggers e ad Ati Aster, alla lunga avrebbe corso il rischio di andargli stretta (Shyamalan insegna);2) perché è un classico film di fantascienza in perfetto stile E.T. o Incontri ravvicinati del terzo tipo ma, come viene intelligentemente detto da uno dei personaggi, qui non si parla più di UFO (Unidentified Flying Object) bensì di UAP (Unidentified Aerial Phenomena). E non si tratta di una distinzione solo onomastica – tant’è che anche la Nasa e il Pentagono oggi indagano ufficialmente e scientificamente questi fenomeni – ma sostanziale, perché l’alieno di Peele è lontano anni luce da quelli di Spielberg: in Nope viene descritto come un “brutto miracolo”, violenta metafora dei tempi che cambiano, essendo più un predatore territoriale arrabbiato e vorace che un simpatico omino verde alla disperata ricerca di un modo per tornare a casa;
3) perché è un western a tutti gli effetti, con tanto di ranch e cavalli, che permette a Peele di dichiarare tutto il suo amore per il Cinema grazie a quello che viene definito il “genere americano per eccellenza”. Lo fa attraverso la storia dei due fratelli protagonisti, discendenti di una famiglia di ammaestratori di animali per le Major hollywoodiane nonché pro-nipoti del fantomatico fantino che era al galoppo di un cavallo in uno dei primi esperimenti cinematografici della storia (la serie di figure Animal Locomotion del 1872 di Eadweard Muybridge). Ma soprattutto Peele sfrutta al meglio le potenzialità che il western gli concede: tecnologia IMAX per campi lunghissimi a mostrare lande desolate o cieli pieni di nuvole (nascondigli aerei semplicemente perfetti), e spericolate corse a cavallo per ricreare un immaginario che rimanda volutamente agli inseguimenti tra indiani e cow-boy;
4) perché è una lucida pellicola di denuncia e aspra critica sociale che, al contrario di quanto successo in passato, dove Peele si era concentrato sulla questione afroamericana principalmente rispetto ai temi del razzismo e delle disparità tra classi sociali, si apre ora a tutta la società: quello che viene messo sotto l’occhio del riflettore, infatti, è l’attuale smania di condivisione che trova nei social e nei media i principali strumenti per alimentare in modo morboso e alienante la voglia di “guardare”. Attraverso uno spettacolo nello spettacolo, Nope demonizza le leggi della medialità e la moderna necessità di trasformare ogni cosa e ogni momento in un show a discapito di una dimensione più intima e privata;5) perché in fondo, al di là di qualsiasi rimando filosofico nascosto dietro alle nuvole e oltre ogni messaggio universale consacrato nella cruenta scena del massacro televisivo ad opera di una scimmia assassina (sicuramente il momento più inquietante di tutto il film con evidenti rimandi a una violenza di kubrickiana memoria), Nope è un perfetto blockbuster estivo: due ore di fughe mozzafiato, inquietanti attese, misteri angoscianti e, molto probabilmente, destinati a restare tali in nome di un orrore cosmico che il più delle volte – come ci ha insegnato Lovecraft – sfugge all’umana comprensione e alla necessità di trovare risposte a ogni fatto enigmatico.
Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)
martedì 18 maggio 2021
La donna alla finestra
domenica 7 febbraio 2021
Malcom & Marie
5 buoni motivi per cui una lite infinita tra due innamorati può diventare un ottimo film d’autore:
1) perché i due meravigliosi protagonisti, John David
Washington (figlio di Denzel, recentemente ammirato in TENET) e Zendaya
(giovane cantante e attrice resa famosa dalla serie tv Euphoria), danno vita a una
performance fisica al limite della perfezione, dove vanità e invidia sono
direttamente proporzionali alla rabbia innescata da un mancato grazie che
doveva esser detto nel momento giusto. E così il momento più bello della vita
dell’uno diventa per l’altra l’occasione per una recriminazione a lungo
sepolta sotto la vanagloria e l’egocentrismo del compagno regista,
innescando un sempre più asfissiante gioco al massacro tra i due ma
soprattutto tra loro due e gli spettatori;
2) perché la sceneggiatura, ridotta al minimo e interamente basata sulla potenza e sulla ferocia dei dialoghi, assume da subito le sembianze di una violenta partita di tennis: tra continui rimandi dalla vita reale dei due alla finzione del film di Malcom, il pubblico non riesce a staccare gli occhi dalla loro lite guardando prima il devastante servizio dell’uno e poi la maligna risposta l’altra, il dritto con cui lui cerca disperatamente di mandarla fuori dal campo e l’eroico tentativo di recuperare il punto di lei;
3) perché, girato in piena pandemia, è un film dall’impianto teatrale dove gli opposti non smettono mai di attrarsi: i due attori che si insultano, si allontanano, per poi cercarsi immediatamente dopo; la perfetta fotografia in bianco e nero che tutto enfatizza (l’unico tocco di colore è il rosso iniziale del logo di Netflix); il silenzio totale di alcuni momenti cui fanno da contraltare le grida e gli insulti; le quattro mura (si fa per dire) di una casa che li contiene in modo claustrofobico e gli spazi apparentemente infiniti che stanno attorno e dove loro rifuggono;4) perché è una storia talmente cruda, per regia e scrittura, da diventare un coraggioso manifesto di quello che dovrebbero fare (certe) pellicole: vale a dire, a detta dello stesso Malcom, arrivare dritto al cuore degli spettatori, elettrizzarli senza costringerli a cercare per forza un significato dietro alle intenzioni del regista, piuttosto che una qualsivoglia lettura politica nascosta nelle pieghe della sceneggiatura;
5) perché è un film per chi davvero ama il cinema nella sua infinita potenza comunicativa, pieno zeppo di citazioni mai gratuite visto che a parlare sono appunto un egocentrico regista, da tanti acclamato come il nuovo Spike Lee (per cui John David Washington ha recitato in BlackKklansman) o il nuovo John Singleton, e un’attrice fallita il cui unico sogno sarebbe stato quello di recitare nel capolavoro che il suo compagno ha scritto (forse) ispirandosi a lei.
giovedì 3 settembre 2020
TENET
Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)