5 buoni motivi per cui Una donna alla finestra è un film dal potenziale sprecato:
1) perché è un film che rilegge il capolavoro La finestra sul cortile di Alfred
Hitchcock (omaggiato direttamente dalla protagonista che lo guarda in tv) in una chiave di lettura talmente accessibile e immediata da risultare scontata: a stare alla finestra, questa volta non è un fotoreporter armato di macchina fotografica ma la meravigliosa Amy Adams, una psicologa
costretta in casa dall’agorafobia scatenata da un profondo trauma che viene svelato nel dipanarsi della storia, resa mentalmente sempre più instabile da un’escalation
di eventi che accadono all’interno della sua “prigione” fisica e psichica;
2) perché è un cast stellare a tenere in piedi un'architettura che più di una volta traballa: Amy Adams è davvero eccezionale quando viene presa
dal terrore e dà vita a una performance strabiliante, l'ennesima dopo quella che l’aveva vista protagonista nel bellissimo e sofferente Elegia Americana, sempre targato Netflix. Non solo la Adams che
giustamente si prende il centro della scena, ma anche due premi come Oscar Gary
Oldman e Julianne Moore sono in grande spolvero, perfettamente a loro
agio nel ruolo degli inquietanti vicini che sembrano divertirsi a trascinarla in una dimensione di
incubo;
3) perché la regia di Joe Wright è sì elegante ma finisce con il diventare pretenziosa quando il regista britannico – perfetto e pulitissimo ne L’ora più buia – gioca a manipolare il tono del film che da thriller onirico dai tratti fortemente hitchcockiani devia
su una dimensione teatrale più artefatta e posticcia, in un vortice di ansie e
ossessioni che dovrebbero essere tanto della Adams quanto di noi spettatori;
4) perché i tanti omaggi a Alfred Hitchcock e le
infinite citazioni a capolavori del passato come Omicidio a luci rosse di
Brian De Palma, finiscono presto con l’annoiare e diventano un gioco fine a sé stesso: la dimensione meta-cinematografica viene messa al mero servizio di una trama dove realtà e finzione, sogno e incubo arrivano a
confondersi e confondere un pubblico (subdolamente) ingannato dal loop delle percezioni di una Amy Adams sempre alterata da alcool e medicine;
5) perché il senso di angoscia che ogni buon thriller dovrebbe
trasmettere attraverso i continui depistamenti, misteri e doppi giochi, si
sfilaccia via troppo presto e, quando diventa chiaro dove Wright e tutti gli
attori ci stanno portando, la trama de La
donna alla finestra finisce con il diventare quasi respingente... A quel
punto non si aspetta altro che termini la notte e arrivi (l’annunciato) lieto fine a svegliare la Adams dal suo incubo.
Voto: 2 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)