1) perché Knight of Cups è un flusso di coscienza ininterrotto che ci mette in contatto con le le più profonde sfumature filosofiche del cinema di Terence Malick, qui a livelli di assoluta perfezione estetica e stilistica. La sua è una poetica d'avanguardia, sempre più sperimentale e astratta, che senza mai risultare vaga né confusa ci mostra la metaforica "ricerca della perla" in cui è impegnato il peregrino errante protagonista del film: Christian Bale, già Cavaliere Oscuro nei panni di Batman, diventa il "Cavaliere di Coppe" (figura dei tarocchi), uno sceneggiatore di Hollywood depresso per la morte del fratello di cui si sente colpevole, che si muove verso la trascendenza cercando il senso ultimo della vita, mentre una voce fuori campo - tratto sempre più distintivo di Malick - ci accompagna nel suo peregrinare non prestando caso a quello che succede intorno a lui, ai dialoghi né tanto meno a una appena accennata trama;
2) perché il processo di "depersonalizzazione" degli attori iniziato da Malick con To The Wonder, fa ruotare personaggi di cui a malapena conosciamo i nomi esclusivamente attraverso quello che accade intorno a loro, astraendoli e rendendoli metafore ambulanti in cerca di amore. Allora Bale ma anche Cate Blanchett, Natalie Portman e le altre carte dei tarocchi (a ciascuna delle quali è dedicato uno degli otto capitoli in cui è diviso il film) diventano l'essenza di tutta l'umanità e le loro vite sono spese a testimoniare e sperimentare. I loro sguardi sono ciò che conta, i loro corpi diventano mezzi attraverso i quali le anime camminano attraverso il mondo, rendendo il film del tutto indipendente dai personaggi stessi... ridotti infine a semplici punti di connessione delle immagini;
3) perché la musica scelta da Malick per accompagnare i pensieri del Cavaliere e di tutte le altre figure che - danzando - si alternano nel susseguirsi dei capitoli, è talmente potente e al tempo stesso leggera da riuscire a fondersi emozionalmente con ogni luogo mostrato: in un arido deserto o davanti all'oceano sconfinato, nella hall di un gelido palazzo postmoderno o in un incantevole giardino zen, una ubiqua musica ultraterrena non smette mai di accompagnarci nella ricerca spirituale di un senso definito e definitivo delle cose;
4) perché la dolce serenità della fotografia di Emmanuel Lubezki (tre volte premio Oscar per Gravity, Birdman e Revenant), assume costantemente valore di significato con risultati a dir poco sorprendenti: così un'autostrada dove milioni di macchine sciamano come elettroni diventa un affascinante albero cosmico, mentre uno strip club ci appare come uno scintillante e psichedelico angolo di inferno, rendendo infine ancora più densa la metafora di Malick;
5) perché il messaggio che la scomparsa di ogni cosa ci porta in dono nell'ultima scena, per quanto ambiguo e disorientante, diventa LA domanda: "Dove stiamo andando davvero?" E quando, infatti, il Cavaliere abbandona il tempio e scompare per dare spazio alla luna, la telecamera di Malick si muove verso l'altro con un movimento misterioso e imperscrutabile verso l'infinito, lasciandoci in dote un messaggio che potrebbe essere indifferentemente positivo o negativo... a seconda del fatto che il Destino decida di mostrarci la carta dei tarocchi al dritto o al rovescio.
Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)
www.theknightofcupsmovie.com
Nessun commento:
Posta un commento