5 buoni motivi per
cui Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un film rabbioso ma allo stesso tempo dolce che sta meravigliosamente a
metà tra Quentin Tarantino e i fratelli Coen:
1) perché Frances McDormand (moglie di Joel Coen e già splendida protagonista di Fargo per cui giustamente vinse l'Oscar) è Mildred, una madre furiosa a causa dello stupro e dell'omicidio della figlia, in cerca di giustizia e vendetta proprio come lo era Beatrix Kiddo (Uma
Thurman), la Sposa di Kill Bill. Ispirandosi addirittura a John Wayne nella camminata, l'attrice qui premiata con il Golden Globe come miglior protagonista e nominata agli Oscar, è una donna che non si arrende di fronte a nessuno, capace con la sua rabbia e le sue azioni di generare un vortice di conseguenze quasi sempre catastrofiche: un vero e proprio cowboy in gonnella che affitta tre cartelloni pubblicitari per gridare al mondo tutta la sua ira verso la polizia, colpevole - per lo meno a suo dire - di non fare nulla per trovare l'assassino della figlia, un giustiziere solitario senza paura e con niente da perdere perché tanto ha già perso tutto;
2) perché la sceneggiatura del regista Martin McDonagh (premiata sia a Venezia che ai Golden Globe e nominata agli Oscar) è un po' un western alla Django Unchained e un po' una dark
comedy con uno stile che ricorda l'umorismo nero de Il grande Lebowsky: Tre manifesti a Ebbing, Missouri danza sulle note di un rocambolesco miscuglio di razzismo e omofobia, rabbia e violenza, ma anche su quelle dell'amore e della generosità. E in questo senso il personaggio più compassionevole si dimostra un sempre più enorme Woody
Harrelson (tra le altre cose protagonista nel '94 di Natural Born Killers la cui prima sceneggiatura venne scritta proprio da Tarantino, seppur poi radicalmente modificata da Oliver Stone) nei panni di Bill Willoughby: destinatario diretto delle accuse di Mildred in quanto capo della polizia di Ebbing, si rivela capace di sfumature impensabili e di gesti infinitamente magnanimi (per quanto brutali...) pur di aiutarla a scoprire la verità;
3) perché Sam
Rockwell (anche lui Golden Globe come migliore interpretazione da non protagonista e nominato agli Oscar) è gigantesco nell'impersonare un agente brutale ai limiti dell'idiozia, l'esatto opposto della poliziotta interpretata dalla stessa Frances McDormand in Fargo. Pur essendo il peggio del peggio della polizia di Ebbing, per quanto capace di atti violenti e razzisti verso tutto e tutti, in fondo non è nient'altro che un irrisolto mammone dal cuore smisurato: la dimostrazione vivente che le azioni di Mildred e (il sacrificio) di Willoughby possono servire a qualcosa e che anche gli esseri umani più disperati hanno la possibilità di intraprendere viaggi verso luoghi inesplorati quando si abbandonano alla calma e all'amore;
4) perché
Ebbing Non è un paese per vecchi ma semplicemente una surreale cittadina dell'America del sud intrisa di un rancore a tratti viscerale: che tu trapassi il pollice di un dentista col suo trapano o butti dalla finestra un venditore di annunci pubblicitari o sfiguri un poliziotto con delle bombe molotov, tanto non ti succederà niente perché in fondo ogni azione si giustifica come conseguenza di quella prima! Tuttavia, in questo concentrato di violenza che innesca solo altra violenza come fosse un incendio che si autoalimenta con l'odio, quando meno te lo aspetti è proprio quel fuoco dirompente a risolvere ogni cosa diventando una luce nella notte che illumina anche le anime più oscure, finalmente in grado di perdonare e andare oltre;
5) perché al netto dei rimandi a Tarantino e ai Coen, McDonagh crea uno stile suo, sempre in bilico tra il comico e il drammatico, per raccontare un'America profondamente disillusa e capace di atti estremi dal punto di vista fisico e morale. Ma dopo aver ammiccato alla furia di alcune scene de Le Iene o de L'uomo che non c'era, il regista britannico riesce infine a disseppellire le coscienze dei suoi personaggi, i quali (dopo aver inizialmente affidato a tre manifesti un messaggio pieno di rabbia) si riscattano proprio grazie a tre lettere dense d'umanità: si chiude così un cerchio perfetto con un dialogo poetico che, pur senza risolvere il dilemma tra giusto e sbagliato di cui tutto il film è pregno, ha il merito di indicarci la strada della redenzione e della speranza.
Voto: 3 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il
massimo è 4)
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