
2) perché Clint Eastwood non ha paura di sembrare ridicolo ballando con fare goffo e impacciato, ammettendo di non saper mandare messaggi col cellulare come un anziano qualunque, o avendo improbabili incontri "romantici" che mettono a serio rischio il suo cuore: lo fa invero, anche grazie a una regia volutamente asciutta ed essenziale, per sottolineare tutta la sua fragilità, le sue debolezze e la sua vecchiaia. E se solo gli occhi (di ghiaccio) sembrano essere rimasti gli stessi, tutto il resto è diventato decadente e malinconico come la canzone di Johnny Cash che canticchia in uno dei suoi viaggi dal Mexico a Chicago;
3) perché Clint Eastwood non ha paura di sembrare politicamente scorretto e ne ha per tutti, ma sempre con quel sorriso meraviglioso stampato in faccia e soprattutto senza un briciolo di razzismo: che siano "lesbiche" cui dà consigli per riparare la moto, "negri" che è felice di aiutare a cambiare una gomma bucata, "mangiafagioli" cui offre il pranzo, non c'è una volta in cui non sia mosso da buoni sentimenti grazie ai quali tutti finiscono per passarci sopra facendogli l'occhiolino, lasciandosi aiutare, diventando suoi amici. In fondo è un veterano della guerra di Corea (altra strizzata d'occhio a Gran Torino) cui tutto si permette perché ormai è innocuo e non può più fare del male a nessuno;
4) perché Clint Eastwood non ha paura di morire e, anche se la morte è presente in tutto il film (così come in quasi tutti i suoi film), ne parla in modo dolce e delicato come se non fosse una questione da temere, solo da gestire con coscienza. Una tappa qualunque di un viaggio che deve portare a termine, senza multe né intoppi, che noi abbiamo il privilegio di osservare tifando per lui (tra l'altro sospendendo ogni giudizio sulla moralità delle sue azioni...) ogni volta che un poliziotto o un agente delle DEA (un ottimo Bradley Cooper ancora con lui dopo American Sniper) lo stanno per smascherare;

Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)