martedì 29 dicembre 2015

Il ponte delle spie

5 buoni motivi per cui Il ponte delle spie è una storia che fa la Storia:


1) perché Steven Spielberg è solido (come sempre del resto) nel tenere tutti sospesi sul filo sottilissimo di un gioco fatto di ideali, interessi strategici e macchinazioni politiche: lo fa costruendo un thriller spionistico in modo molto "classico", quasi alla Hitchcock verrebbe da dire, e lasciando che le azioni diventino gesti eroici senza uscire mai dal seminato. Come già aveva fatto sempre con Tom Hanks ne Salvate il Soldato Ryan, Prova a prendermi e The terminal, Spielberg prende una storia vera e poco nota al grande pubblico, per arrivare con maestria a metterne in evidenza l'assoluta esemplarità;


2) perché la sceneggiatura dei fratelli Coen (insieme a Matt Charman) è magistrale: basata sul libro scritto da Donovan nel 1964, Strangers on a bridge, si rivela letteralmente perfetta nell'essere al servizio della storia che viene raccontata da Spielberg, prendendosi il lusso di lasciar spazio all'humour nero tipico dei Coen solo quando davvero serve e in modo sempre sottile e misurato;

3) perché Tom Hanks è il solo attore al mondo in grado di trasformare un uomo comune, (l'avvocato James Donovan fino ad allora esperto solo di diritto assicurativo) in un eroe "assolutamente comune": che si fa rubare il cappotto e si prende il raffreddore ma assolutamente determinato nel difendere contro tutto e tutti i diritti costituzionali di una spia russa catturata dal governo americano, per poi finire addirittura reclutato dalla CIA a negoziare sul ponte di Glienicke a Berlino lo scambio della stessa con un prigioniero statunitense in mano ai sovietici. Anzi, addirittura due prigionieri in cambio di uno; 

4) perché ci sono i valori fondamentali di ogni popolo - libertà, lealtà e giustizia - che troppo spesso vengono dimenticati in nome (o per colpa) di altri fattori e quindi diventa necessario che qualcuno ci ricordi chi siamo indipendentemente da quello che pensano gli altri (e a volte anche le istituzioni...). Solo in questo modo le virtù di un uomo, "un uomo tutto di un pezzo", possono tornare a essere quelle di una Nazione;

5) perché se è vero che i valori fanno grandi gli uomini, sono i grandi uomini che fanno la Storia. La Guerra Fredda tra USA e URSS (per inciso Donovan nelle realtà negozierà per conto di John F. Kennedy anche a Cuba con Castro il rilascio di un migliaio di prigionieri), il muro di Berlino che da lì a poco avrebbe cambiato tutto e un popolo dilaniato dalle ferite della Guerra: non è esagerato dire che per Spielberg Il ponte delle Spie stia a tutto ciò, come Schindler's list è stato agli orrori del nazismo. 


Voto: 3 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4) 

Il ponte delle Spie



venerdì 18 dicembre 2015

Star Wars: Il risveglio della Forza

5 buoni motivi per mettere il cuore in pace e accettare l'episodio VII per quello che è: una splendida avventura che riesce nell'impresa (per nulla scontata) di non deludere nessuno:


1) perché non gli manca nessun ingrediente per soddisfare le tante richieste (e soprattutto le esigenze) della Disney: restituire ai fan quella Fede in parte perduta dopo gli episodi I, II e III con una saga nuova che tuttavia (ri)partisse dalla Trilogia originale; coinvolgere i più giovani e in genere tutti coloro che fino a oggi avevano vissuto questo universo solo in modo tangente; vendere senza riserve un "prodotto" di altissima qualità sia a quelli che avevano sempre snobbato Star Wars sia a quelli che al cinema ci vanno esclusivamente per eventi di portata mondiale (con ben chiaro in testa l'obiettivo di superare il record di incassi di Avatar);

2) perché se da un lato non si aspettava altro che il "ritorno a casa" di Han Solo e Chewbecca, dall'altro era lecito affrontare l'inserimento dei nuovi personaggi con un certo scetticismo: invece ci si deve ricredere perché funzionano tutti alla perfezione, al di là di qualche irrilevante sbavatura. Da Rey, la giovane mercante di rottami ancora ignara del percorso che l'attende, a Fin, il coraggioso Stormtrooper che abbandona il Nuovo Ordine per passare alla Resistenza; da Poe Dameron, “il miglior pilota della Resistenza”, a BB-8, il droide dal destino simile a quello di R2-D2. Ma su tutti Kylo Ren che, certo, al momento è ancora troppo tormentato per essere il nuovo Darth Vader, ma ha tutti i presupposti per potersi "formare" e ambire a diventarlo.   

3) perché l'Universo fantascientifico in cui si muovono i personaggi, benché nuovo, non si discosta affatto da quello noto a tutti: Jakku, il pianeta desertico che tanto (troppo?) ricorda Tatooine, le montagne innevate che richiamano alla memoria la mitologica battaglia di Hoth, le foreste già viste sulla luna boscosa di Endor e i suoi Ewok... Forse si sarebbe potuto dimostrare un po' di coraggio discostandosi in modo più netto dal passato, ma è tutto talmente grandioso e altisonante da passarci sopra senza troppi problemi.

4) perché Il Risveglio della Forza ha il coraggio di mettere da parte la (asettica) computer grafica che purtroppo aveva contraddistinto gli episodi I, II e III, riuscendo a ricostruire un'atmosfera vintage ma al tempo stesso innovata con una dovizia di particolari davvero entusiasmante (come ad esempio avviene per le divise delle milizie del Nuovo Ordine). In questo senso il vero successo è stato recuperare la dimensione visiva perduta di Star Wars, ma con un ritmo "moderno" e quasi sempre vertiginoso, dettato dalla velocità e dalla potenza delle battaglie, dei combattimenti e degli inseguimenti che da sempre della saga costituiscono il cuore pulsante;
5) perché solo J.J. Abrams sarebbe stato in grado di prendere tutte le tessere della famiglia Skywalker, mischiarle per oltre due ore di film (basandosi sui tempi comici semplicemente perfetti di alcune scene e sul sentimentalismo mai fuori luogo di altre) e tirar fuori dal sofisticato intreccio che ne deriva l'amletico dubbio con cui ci lascia infine. Ma se è chiaro in quali personaggi scorre potente la Forza, non risultano altrettanto immediati i rapporti tra gli stessi e, soprattutto, l'apparizione finale (al di là di facili supposizioni) apre la porta a molti interrogativi cui solo gli episodi VIII e IX sapranno dare risposta.


Voto: 3 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4) 



mercoledì 2 dicembre 2015

Il Viaggio di Arlo

5 buoni motivi per cui Il Viaggio di Arlo riesce a essere una (divertente) avventura per bambini ma con la sensibilità di un vecchio film western:


1) perché, come spesso accadeva nei western, il tutto parte da una fattoria in cui vive una famiglia di (evoluti) dinosauri agricoltori e da un ladruncolo (un piccolo "cucciolo" di uomo di nome Spot) che Arlo dovrà catturare per dimostrare al padre il suo coraggio superando le paure che lo attanagliano: solo così potrà guadagnarsi il diritto di apporre la propria impronta sul silo in cui vengono conservate le provviste per l'inverno accanto a quelle dei genitori e dei due fratelli;

2) perché c'è un viaggio lungo e difficoltoso che Arlo deve intraprendere per superare la tragedia che lo ha colpito e ritrovare la strada di casa: un fiume minaccioso (elemento fortemente simbolico) a dettare la via di una storia di crescita e di formazione che, tra le mille insidie di una Natura misteriosa e selvaggia, porterà il piccolo apatosauro a diventare un vero "uomo";

3) perché in una delle scene che forse più di tutte riprende gli stilemi dei vecchi western, nonché una delle più emozionanti, ci sono tre tirannosauri mandriani a cui dei ladri di bestiame cercano di rubare una mandria di bisonti (preistorici): sarà solo grazie all'aiuto di Arlo e Spot, divenuti per l'occasione due cowboy senza paura, che i tirannosauri riusciranno a non perdere il pascolo e continuare il loro viaggio verso sud;
4) perché ci sono le panoramiche tipiche del vecchio West, impressionanti nel rappresentare paesaggi sconfinati con campi di grano coloratissimi, montagne innevate sferzate dal vento, stormi di uccelli che volano a ridosso di nuvole sempre in movimento. Pur non essendo a livello di storia Il Viaggio di Arlo il miglior film della Pixar (in quanto fin troppo semplice nel suo essere volutamente didascalico), dal punto di vista dell'animazione e del realismo ha toccato livelli eccelsi nel gestire questi elementi grafici

5) perché c'è l'amicizia, quella vera, tra Arlo e Spot, fatta non di parole ma di tanti silenzi e di profondi sospiri (proprio come erano quelli dei pistoleri), che quando esplode non ha più limiti e si dimostra capace di superare ogni ostacolo. E a quel punto non ci sono più differenze nemmeno tra uomini e dinosauri.



Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)

www.ilviaggiodiarlo.it