lunedì 30 ottobre 2017

IT

5 buoni motivi per cui la nuova trasposizione di IT è un film che tutto sommato "galleggia" al di sopra della mediocrità:


1) perché questo IT non è un horror e, al di là di qualche inconsapevole dodicenne, non soddisfa fino in fondo gli appassionati del genere: forse in questi anni ci siamo abituati troppo alla figura di Pennywise, entrato a buon diritto nel "club dei nuovi mostri" con Freddy, Jason e Pinhead, per poter essere realmente spaventati dai continui jumpscares di cui è farcito il film. O forse il vero punto di forza del Pennywise anni '90 di Tim Curry (per quanto encomiabile anche l'attuale interpretazione di Bill Skarsgard) era proprio il contrasto tra il realismo del clown quando si mostrava in momenti di apparente tranquillità e il terrore che invece generava quando assumeva sembianze mostruose. Tuttavia, per dovere di cronaca, il nuovo Pennywise è molto più fedele alla descrizione del pagliaccio maligno e agghiacciante fatta da Stephen King nel suo capolavoro rispetto a quello della miniserie televisiva;

2) perché, anche se come detto vive più di suspense che di paura vera e propria, IT resta un eccezionale film di azione e di intrattenimento che grazie a una sceneggiatura oltremodo solida, un montaggio veloce e una musica incalzante, riesce a far correre la tensione e l'adrenalina di pari passo con le emozioni dei suoi giovani protagonisti: in una atmosfera tipicamente anni '80 (grande cambiamento questo rispetto agli anni '50 narrati nel romanzo) questo IT  è una pellicola che, sicuramente in modo voluto e tutto sommato anche un po' furbo, strizza spesso l'occhio a due meraviglie quali i Goonies prima e Stranger Things poi;

3) perché, come tante altre opere di Stephen King, rimane una storia di formazione in cui le emozioni legate all'innocenza dell'essere bambini si scontrano di continuo non solo col soprannaturale ma sopratutto con gli orrori e la cattiveria degli adulti (con dichiarati rimandi a Stand by me). Da questo punto di vista, la prima parte di IT prepara alla perfezione il terreno per la battaglia finale che i bambini divenuti adulti dovranno combattere dopo 27 anni (quindi più o meno ai giorni nostri): nel 2019, infatti, rincontreremo tutti i Perdenti pronti a scontrarsi per l'ultima volta con quello che Pennywise rappresenta... vale a dire il male nella sua incarnazione più mostruosa;

4) perché l'IT di Muschietti ambisce a essere una fedele trasposizione di quella pietra miliare della letteratura kinghiana che è il romanzo nonostante le tante diversità più o meno esplicite. Al di là del cambiamento storico, è vero che mancano alcuni elementi fondamentali (la Tartaruga su tutti, qui presente solo in una versione... Lego) ma quello che in fondo davvero importa è il non aver smarrito lo spirito del romanzo e le sue atmosfere: certo, nelle storia di Stephen King emergeva in modo molto più netto il marciume che si cela dietro ogni apparente normalità (di per sé anche senza la metafora del mostro), però almeno non viene perso quel senso di appartenenza a un gruppo e quella nostalgia dell'essere bambini che litigano, si picchiano, fanno la pace e si innamorano; 


























5) perché dove invece il film funziona davvero bene e riesce piacevolmente a stupire, è quando fa interagire i ragazzi tra loro mostrando da un lato la tenerezza della loro amicizia, e dall'altro le pulsioni legate all'odio e alla rabbia che provano. Soprattutto in alcune scene "di normalità" dove non si avverte il terrore dell'esperienza soprannaturale che stanno vivendo, i Perdenti riescono a essere quasi sempre poetici nei dialoghi, nelle azioni e nelle emozioni: indimenticabile la scena della cava quando, dopo aver sconfitto la paura dell'altezza tuffandosi uno dopo l'altro, li guardiamo con dolcezza mentre ammirano estasiati Beverly (un'incantevole Sophia Lillis) prendere innocentemente il sole in mutandine e reggiseno.


Voto: 2 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)

itthemovie.com










venerdì 8 settembre 2017

Dunkirk

5 buoni motivi per cui Dunkirk è Cinema nella sua forma più pura e riuscita:



1) perché sin dalle primissime immagini, la Guerra viene mostrata nelle sue viscere e raccontata nella sua vera essenza in modo talmente realistico da diventare un qualcosa di vivo e palpabile: e la magia riuscita a Nolan è stata quella di trasformare la presenza pulsante del Nemico (che volutamente mai si vede dato che in realtà la paura stessa del nemico si annida nel cuore e nella testa di ogni soldato) in un gioioso inno alla vita. Così, scena dopo scena, Dunkirk passa dal mostrarsi solo un meraviglioso film di guerra in cui si racconta dell'operazione Dynamo che portò al salvataggio di oltre 300.000 soldati inglesi assediati dalle truppe naziste sulle spiagge di Dunkerque, a essere un vero e proprio atto di sopravvivenza dove ogni soldato, ogni uomo, è impegnato in una disperata corsa verso la salvezza, combattendo una battaglia personale contro la morte che si fa infine dell'umanità tutta;

2) perché così come era stato per Apocalypse Now di Coppola, per Full Metal Jacket  di Kubrick, per Salvate il soldato Ryan di Spielberg, per La sottile linea rossa di Malick, anche Nolan è riuscito a racchiudere Dunkirk in una ben precisa linea stilistica dentro cui far scorrere non solo le sue infinite e magistrali doti tecniche ma anche (o forse soprattutto) la sua etica di fondo: avendo girato praticamente un film muto, che si basa per lo più su ansie e paure da un lato, su sguardi e non detti dall'altro, ancora una volta Nolan vive e ci fa vivere all'interno di un sogno, o meglio di in un incubo, durato un'ora, un giorno o chissà una settimana, in cui tutti - eroi o codardi - non aspettano altro che svegliarsi al sicuro in un qualunque altro luogo, purché lontano da quella spiaggia infernale; 



3) perché la narrazione riesce a essere talmente angosciante che a un certo punto Dunkirk pare una bomba a orologeria pronta a esplodere da un momento all'altro: e in questo senso non è solo il fragore delle bombe e degli spari a devastare e terrorizzare, quanto l'ininterrotta e disturbante colonna sonora di Hans Zimmer che (non fermandosi mai come fosse il ticchettio di un insopportabile orologio) ci scandisce lo scorrere del tempo quasi a preparaci per l'arrivo di una rovina imminente. Di una caduta definitiva. Il ritmo, assordante, nervoso e incalzante, si fonde alla perfezione con le immagini dando vita a un ambiente ansiogeno e a una sensazione di puro panico che ci accompagna in ogni istante per lasciarci infine liberi solo quando la sconfitta diviene reale;


4) perché se tre è il numero perfetto, Dunkirk vive di tre tempi, di tre luoghi, di tre storie che si intrecciano in punti di vista diversi e al tempo stesso collegati tra loro all'interno di un unico e perfetto meccanismo narrativo dove ogni uomo è uguale agli altri, dove tutti possono vivere o morire non solo per le loro azioni ma anche per le conseguenze di quelle degli altri. Che si tratti di un soldato codardo o di un eroico aviatore (e qui l'interpretazione praticamente solo con gli occhi di Tom Hardy che, nascosto sotto la maschera da aviatore, non pronuncia nemmeno trenta parole in quasi due ore di film, è un qualcosa di a dir poco irripetibile), di persone comuni eroiche proprio nel loro esser comuni, di stoici ufficiali o di soldati senza nome, tutti hanno fatto le loro scelte con cui devono convivere per il (poco o tanto) tempo che gli sarà concesso, guardando oltre se stessi, oltre le bianche spiagge francesi, alla ricerca della salvezza dei loro corpi e delle loro anime; 

5) perché in quello che è il suo vero capolavoro, Nolan si ricorda che il cinema - a maggior ragione se il film in questione è girato quasi interamente in pellicola IMAX e in 70mm - può essere fatto di sole immagini e di sguardi che valgono più di mille discorsi o di (seppur geniali) sceneggiature che giocano per ore a rincorrersi tra loro: grazie anche alla splendida fotografia di Hoyte Van Hoytema, Dunkirk vive della contraddizione di essere un film talmente claustrofobico, benché ambientato quasi interamente sulle ampie spiagge di Dunkerque o addirittura in mare aperto, da lasciare senza fiato gli spettatori troppo impegnati a vivere questa intensa, epica e straordinaria avventura per ricordarsi di tirare fuori la testa dall'acqua e respirare.
  

Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)


www.dunkirkmovie.com






sabato 22 luglio 2017

The War - Il pianeta delle scimmie

5 buoni motivi per cui The War - Il pianeta delle scimmie è la miglior conclusione possibile della trilogia iniziata con L'alba del pianeta delle scimmie e proseguita con Apes Revolution:


1) perché è principalmente un grande film di guerra che omaggia, tra gli altri, capolavori come Full Metal Jacket (il film si apre con l'inquadratura del casco di un soldato che riporta la scritta "Monkey Killer") e soprattutto Apocalypse Now richiamato senza alcun sottinteso dal graffito "Ape-ocalypse Now" e dalla figura quasi mitologica del Colonnello impazzito (interpretato da un Woody Harrelson sempre più a suo agio nei ruoli esagerati): un novello Kurtz che si trova a combattere non solo contro le scimmie ma anche contro quegli stessi soldati che prima lo avevano inviato in missione; 

2) perché è anche un film dal respiro epico tipico dei grandi western del passato, con le scimmie nel ruolo degli indiani e i soldati americani in quello dei cowboy costantemente incapaci di imparare dagli errori del passato: i villaggi devastati e abbandonati, gli inseguimenti a cavallo in splendidi paesaggi fatti di boschi cupi e di montagne innevate, i componimenti lirici di Michael Giacchino che rimandano direttamente a Sergio Leone. La prima parte di The War è fatta di poche, pochissime parole, come devono essere appunto i film sui cowboy e gli indiani, e tanti sguardi silenziosi a preparare il terreno per una seconda che degenera inesorabilmente verso la rabbia e la follia; 

3) perché diventa un film carcerario, a tratti disperato nel narrare le condizioni delle scimmie recluse, che racconta della loro evasione dal campo di concentramento in cui i soldati le avevano rinchiuse: Matt Reeves (già regista del secondo atto della trilogia e prima di Cloverfield) lo fa ammiccando con furbizia a grandi classici del passato come La Grande Fuga o a Fuga per la vittoria ma senza mai risultare pretestuoso o scontato nel farlo. E in un mondo dove tutti sono sempre pronti a caricare le armi e a distruggere il diverso, la luce viene portata da Nova, una bambina vittima di un virus e "adottata" dalle scimmie perchè non volevano venisse uccisa dagli uomini: come la bambina dal cappotto rosso in Schindler's List, aggirandosi fra gli orrori avvolta da un'aurea di invulnerabilità, è lei a farsi portatrice di un messaggio di innocenza e di speranza;

4) perché resta pur sempre un film d'azione e di vendetta, dove il confine tra buoni e cattivi, tra scimmie e uomini, si fa davvero labile: e allora Cesare, sempre più pieno di conflitti interiori, diventa un condottiero ferito nell'anima che scena dopo scena arriva a cambiare profondamente il suo essere violento e sanguinario fino a scoprirsi addirittura all'opposto della propria natura. A Reeves va il merito di condurci fino alla fine del film, che tutti sicuramente riescono a immaginare pur non sapendo come ci si arriverà, senza mai strafare ma approfittando anche delle scene d'azione più dure per riflettere sui alcuni temi nodali come quelli dei due leader- Cesare e il Colonnello - costretti a fare i conti con l'odio e la paura da un lato, la sofferenza e la pietà dall'altro;

5) perché, infine, è un film dove le scimmie (il cui realismo grafico ed emotivo a tratti è addirittura sconcertante) riescono a chiudere la trilogia dando vita a un cambio di prospettiva assoluto rispetto agli albori che ben prepara il terreno per il ricongiungimento col film originale: incapaci di perdere la loro emotività, infatti, prendono il sopravvento sugli uomini non solo per quel che concerne il predominio fisico sulla Terra ma soprattutto in quel senso di pietà che dovrebbe appartenere alla razza umana e non alla loro.


Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)


www.war-for-the-planet-of-the-apes.com





giovedì 16 febbraio 2017

The Lego Batman Movie

5 buoni motivi per cui The Lego Batman Movie è il miglior Batman tra i Batman:


1) perché Batman riesce finalmente a rivelare al Joker tutto l'odio che prova nei suoi confronti, ammettendone così il ruolo di nemesi per eccellenza e di arcinemico (ancor più di Superman...) senza i cui piani criminali il Giustiziere di Gotham non avrebbe più ragion d'essere. Mai come oggi il loro rapporto è apparso talmente inscindibile e sfaccettato da dar vita a un dualismo semplicemente perfetto: bianco e nero, legge e crimine, ordine e caos, lucidità e follia; 

2) perché Batman trova dentro di sé il coraggio di ammettere che la sua più grande paura è quella di rifarsi una famiglia per poi essere abbandonato di nuovo: così, messo da parte il senso di colpa per aver involontariamente portato i suoi genitori nel luogo della rapina in cui sarebbero stati uccisi, una volta per tutte ad Alfred può essere riconosciuto il fondamentale ruolo paterno che da sempre esercita, a Robin quello di figlio e a Batgirl/Barbara Gordon quello di amica nonché fidata consigliera;

3) perché Batman smette di essere un vigilante che agisce da solo con metodi a dir poco discutibili (se non peggio a detta, tra gli altri, di Superman): l'Uomo Pipistrello fa pace con se stesso e accetta il fatto che se non inizia a lavorare in gruppo, riconoscendo il valore dato dall'aiuto di tutti e rispettando il ruolo della polizia nella lotta contro il crimine, questa volta non riuscirà a salvare Gotham e i suoi abitanti;

4) perché Batman capisce che la maschera del pipistrello sta prendendo il sopravvento su Bruce Wayne, il quale sempre più si limita a vivere in solitudine quel poco di vita rimastagli dopo le imprese dell'eroe. Per fortuna, soprattutto grazie ad Alfred che sin dagli inizi ben conosce le due anime di un uomo scisso, il Cavaliere Oscuro realizza che non può indossare in eterno l'armatura (l'eroe che combatte di notte) ed esistere senza Bruce Wayne (il miliardario che invece vive di giorno), perché altrimenti ne uscirebbe irrimediabilmente logorato nel fisico e soprattutto nell'anima; 
Immagine correlata

5) perché Batman - forse per la prima volta nella storia dei film e dei fumetti - ammette di aver commesso un errore quando, nonostante la decisione contraria del nuovo commissario Barbara Gordon, vittima del folle piano del Joker lo manda nella celeberrima Zona Fantasma dandogli modo di allearsi con i cattivi più cattivi (Sauron, Voldemort, i Mr. Smith, i Dalek, King Kong, Godzilla, lo Squalo, gli Uccelli di Hitchcock, ecc): il più grande Detective del mondo sarà quindi costretto a chiedere aiuto a tutti i suoi nemici (l'Enigmista, lo Spaventapasseri, Bane, Pinguino, Due Facce, Catwoman, Poison Ivy, Man-bat, Faccia di Creta, Killer Croc, ecc) pur di avere la meglio sul supercriminale nella battaglia più epica di sempre.


Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)






  

mercoledì 8 febbraio 2017

Arrival

5 buoni motivi per cui Arrival racchiude in sé il meglio della fantascienza esistenziale d'autore:


1) perché Amy Adams, il cui talento diviene una parte fondamentale per la riuscita del film, offre una prova degna di quella che aveva garantito la nomination all'Oscar a Sandra Bullock in Gravity: nei panni di una linguista reclutata dall'esercito americano per comunicare con gli alieni, Lousie è costantemente in bilico tra la calma con cui esercita la sua professione infondendo a tutti (alieni compresi) un senso di fiducia che va oltre l'umana comprensione, e la tensione poetica e drammatica che invece riesce a trasmettere nelle scene riguardanti la sua vita personale; 

2) perché i dodici gusci neri sbarcati sulla Terra, non possono non richiamare alla mente il monolite di 2001: Odissea nello Spazio (che a un primo livello di lettura rappresentava l'arrivo di una presenza aliena sul nostro pianeta). In entrambi i casi non si sa come né perché siano arrivati, ma se allora quello che il monolite portava con sé erano la ragione e la coscienza (dalle quali derivava la violenza), in Arrival la logica lascia spazio all'empatia e l'"arma" degli alieni porta con sé un messaggio che diventa amore puro;

3) perché la svolta finale (semplicemente perfetta) che "dipana la matassa", ha sul pubblico la stessa potenza esplosiva di quella di Interstellar: e se Nolan si limitava a chiudere il cerchio, come già aveva fatto in Inception e in The Prestige, qui Villeneuve va addirittura oltre invitando tutti a riflettere in modo profondo sulle scelte e sulle possibilità che a volte ci vengono donate; 

4) perché come in Incontri ravvicinati del terzo tipo Spielberg aveva fatto dei temi del linguaggio e della (mancanza) di comunicazione una componente basilare, anche gli alieni di Arrival si dimostrano interessati a un pacifico e costruttivo dialogo con i terrestri, nonostante le difficoltà legate alla barriera linguistica (e fisica). Volontà che però non viene contraccambiata da tutte la Nazioni, alcune della quali sono pronte a far esplodere da un momento all'altro la loro latente aggressività: il messaggio allegorico che già emergeva dal racconto di Ted Chiang da cui il film è tratto, è ovviamente quello legato alla pericolosità di isolarsi in questo momento storico, finendo col vedere lo straniero/alieno solo come una minaccia; 

5) perché il talento visivo di Denis Villeneuve (già autore degli ottimi Prisoners e Sicario) fa ben sperare per il sequel di Blade Runner che il regista canadese sta ultimando. La sua macchina da presa si muove con disinvoltura e naturalezza tra suggestive inquadrature in penombra e opprimenti scene in cui la nebbia la fa da padrona, tra la misteriosa essenzialità degli alieni e l'imponenza delle loro astronavi, tra il panico che si sta diffondendo a livello mondiale e le pacate inquietudini interne di Amy Adams, tra il minimalismo delle parole e gli ampi dubbi filosofici che ci vuole instillare: ne esce un film d'autore meravigliosamente a metà tra fantascienza esistenziale e un raffinato thriller psicologico. 


Voto: 3 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)


www.arrivalmovie.com








mercoledì 18 gennaio 2017

Il GGG - Il grande gigante gentile

5 buoni motivi per cui Il GGG - Il grande gigante gentile non sarà mai il nuovo E.T. l'extra-terrestre:


1) perché l'adattamento di Melissa Mathison (già sceneggiatrice di E.T. l'extra-terrestre), basato sul celebre libro per bambini di Roald Dahl del 1964, trasforma quella che sarebbe potuta essere una storia per famiglie - e dalla Disney non ci si può aspettare ovviamente nulla di diverso - in un film davvero troppo per bambini, in cui ci si sforza di divertirsi tra mille improbabili gag o di commuoversi con poetici (e a volte infantili) tocchi di magia; 

2) perché la regia di Steven Spielberg, che era interessato al progetto addirittura dal 1991 e che in passato aveva chiesto a Robin Williams di interpretare il gigante, in molti tratti sembra andare avanti col freno a mano tirato: non mancano certo momenti in cui Spielberg si ricorda di essere un grande cantastorie, ma in generale non riesce a meravigliare come invece aveva fatto negli altri suoi film favolistici, da E.T. l'extra-terrestre Hook - Capitan Uncino, da A.I. - Intelligenza Artificiale Le avventure di Tintin - Il segreto dell'Unicorno;   

3) perché la gentilezza del Gigante, splendidamente interpretato in motion capture da Mark Rylance (premio Oscar come miglior attore non protagonista sempre con Spielberg ne Il Ponte delle Spie), che emerge in ogni sua espressione, gesto o movenza e che diventa la base della sua amicizia con la piccola Sophie (la giovanissima inglese Ruby Barnhill), pesa il giusto in questa storia di amicizia, ma alla fine manca di quel pathos e di quella profondità che legava (anche psichicamente) E.T. e il suo piccolo amico Elliot;

4) perché se è vero che Spielberg richiama per la ventisettesima volta (!) il compositore John Williams a creare delle splendide ed emozionanti sonorità, è altrettanto vero che la musica insieme alla cura dell'aspetto grafico di certe invenzioni surreali, sono gli elementi a spiccare di più in un contesto che nel suo complesso non ha un ritmo vorticoso e nemmeno brilla per quell'originalità che in passato ha reso così famoso il celebre "creatore dell'immaginario";
5) perché al di là di tutto, come del resto dimostrano gli scarsi incassi al botteghino, resta un film pensato e fatto appositamente per i bambini, che vuol far passare un messaggio di speranza e di bontà in un mondo (non solo al cinema) talmente esasperato dalla violenza da far sopraggiungere un’atmosfera di intolleranza generale verso i diversi... giganti compresi.   


Voto: 2 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)

www.thebfgfilm.com



venerdì 13 gennaio 2017

Rogue One: A Star Wars Story

5 buoni motivi per cui Rogue One: A Star Wars Story non è solo uno spin-off di Star Wars ma è addirittura uno dei migliori film dell'intera saga:



1) perché nessuno avrebbe pensato che dopo la regina Padmé Amidala, la principessa Leia Organa e, da ultima, Rey ne Star Wars: Il risveglio della Forza, ci sarebbe stata un'altra eroina (Felicity Jones nei panni di Jyn Erso) in grado di diventare la leader di un gruppo di ribelli desiderosi di combattere l'Impero. Esattamente come Leia e Rey, pure l'impetuosa Jyn decide di mettere eroicamente le proprie abilità al servizio di uno scopo superiore imbarcandosi in una missione disperata per conto dell'Alleanza Ribelle: lo farà anche per riscattare il padre Galen Erso, un ingegnere imperiale costretto a lavorare alla creazione della Morte Nera;

2) perché Rogue One non è solo un film di Star Wars o, più in generale, di fantascienza, ma è anche un grande film di guerra: ci sono combattimenti corpo a corpo, scene che rievocano addirittura lo Sbarco in Normandia, enormi astronavi, luccicanti armature, nuovi mezzi militari, armi tecnologiche sempre più all'avanguardia e habitat planetari inediti talmente realistici da non temere rivali dal punto di vista concettuale e della realizzazione tecnica, se paragonati alle precedenti pellicole;

3) perché è denso di quell'ironia sottile e di quello humour tipicamente British che hanno reso celebri gli altri film: e se allora il compito di intervallare i momenti drammatici ed epici era demandato soprattutto a C-3PO e a R2-D2 (che tra l'altro appaiono in un cammeo mentre osservano i preparativi per l’attacco al pianeta Scarif), questa volta è un droide imperiale (K-2SO) riprogrammato dai ribelli a segnalarsi per il sarcasmo delle sue battute.Tra l'altro tocca proprio a lui dire la storica frase: "Ho un cattivo presentimento”Ma in generale tutti i personaggi nuovi, sia quelli appartenenti alla Ribellione che quelli dell'Impero, funzionano alla perfezione quando si mescolano con le tante citazioni, più o meno sottili, alle scene e alle vicende degli altri film;


4) perché il gruppo di ribelli che riesce a rubare i piani della Morte Nera è quanto di meglio i fan potessero auspicare: oltre a Jyn e a K-2SO, infatti, ci sono un comandante che si è schierato contro l'Impero (Saw Guerrera), un ribelle esperto di spionaggio (Cassian Andor), un pilota (Bodhi Rook) che inventa il nome "Rougue One", un monaco guerriero che crede nella Forza anche se non sa maneggiarla (Chirrut Îmwe) e la sua spalla (Baze Malbus), un sicario che lavora a contratto. Insomma, i magnifici sette... ribelli;

5) perché tra i tanti richiami ai personaggi della Saga principale (su tutti il generale Tarkin splendidamente ricreato in computer grafica) e delle serie animate (come Saw Gerrera, interpretato da Forest Withaker e comparso ne Star Wars: the Clone Wars), spicca quello di Darth Vader che, nei pochi minuti sullo schermo, con la sua presenza epica e la sua spada laser vale da solo tutto il film. Addirittura si scopre il lugubre castello in cui vive su Mustafar, lo stesso pianeta vulcanico dove era avvenuto lo scontro tra Anakin e Obi-Wan Kenobi... e in questo senso non c'è davvero bisogno di aggiungere altro.


Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)