mercoledì 30 agosto 2023

Oppenheimer

 5 buoni motivi per cui Nolan con Oppenheimer è arrivato davvero vicino a Kubrick:

 

1) perché Nolan dirige un parterre stellare di attori e attrici, su cui spiccano Cillian Murphy e Robert Downey Junior, dando a ciascuno il giusto spazio all’interno di una storia corale nella quale – come in 2001 Odissea nello spazio – tutto è collegato: Emily Blunt, Matt Damon, Florence Pugh, Rami Malek, Josh Hartnett, Gary Oldman, Casey Affleck, Kenneth Branagh e tanti altri, sono gli atomi di una reazione nucleare a catena in cui ognuno ha la sua parte di meriti (e di colpe) a partire dagli inizi degli studi sull’atomo fino ad arrivare al bombardamento di Nagasaki e Hiroshima; 

2) perché Nolan riesce a scrivere e magistralmente a dirigere un film su Oppenheimer uomo e scienziato, che diventa un film sulla Storia anche grazie a una fotografia la cui importanza è simile a quella di Barry Lindon: lo fa per merito di una serie di scelte stilistiche che, passando senza sosta dal colore al bianco e nero, intrecciano da un punto di vista cromatico l’ottimismo intrinseco nel lavoro di Oppenheimer con la freddezza e l’asetticità della guerra e della politica;

3) perché richiamando alla memoria le implicazioni filosofiche presenti nelle maglie narrative de Il dottor Stranamore, Nolan trasforma un film storico ed epico incentrato sulla bomba atomica e sulla seconda guerra mondiale in un vero e proprio thriller esistenziale dove Oppenheimer diventa un novello Prometeo tormentato dal suo genio: “Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi” recita, infatti, lo scienziato citando il testo sacro indù del Bhagavad Gita dopo il primo test nucleare nel luglio del 1945, ben sapendo che – anche a causa sua – da lì in avanti il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Per tutto il film (e per tutta la vita) Oppenheimer sembra restare schiacciato dal senso di colpa di aver “solo fatto il suo dovere” di fisico senza riuscire a perdonarsi l’aver indagato il miracolo dell’atomo;












4) perché anche se Oppenheimer è un film prettamente visivo, Nolan ha chiesto a Ludwig Goransson, già suo collaboratore in TENET, delle musiche che oltre a creare una forte tensione emotiva, ben si adattassero al crescendo di preoccupazioni morali di Oppenheimer: ne esce una colonna sonora fatta di archi e violini talmente ossessivi che, al pari della Nona Sinfonia di Beethoven in Arancia Meccanica costantemente e visceralmente legata alle azioni del drugo Alex, per lunghi tratti addirittura oscura i dialoghi sullo schermo come fosse il suono di un’esplosione atomica che tutto azzera;

5) perché Nolan, grazie a una sceneggiatura che scorre via fluida per tre ore (al contrario di quanto era avvenuto in TENET), mette in piedi un’architettura in grado di raccontare i vari momenti della vita di Oppenheimer attorcigliandoli su tre diversi piani temporali: saltando avanti e indietro nel tempo e spaziando tra punti di vista soggettivi e oggettivi, Nolan sospende ogni giudizio morale su Oppenheimer limitandosi a evidenziare la complessità dell’essere diventato “il padre della bomba atomica” e le contraddizioni di un uomo chiamato a far i conti con la morte. Esattamente come il soldato Joker di Full Metal Jacket (l’indimenticato Matthew Modine tra l’altro presente anche in Oppenheimer seppur in un ruolo minore) che sull’elmetto, a fianco il simbolo della pace, aveva la scritta Born to kill a rappresentare la schizofrenia della guerra.

 

 

Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)

 

https://www.oppenheimer-ilfilm.it/