venerdì 8 novembre 2013

Drinking Buddies

5 buoni motivi per capire perché Quentin Tarantino ha inserito Drinking Buddies nella lista dei suoi dieci film preferiti del 2013: 


1) perché è una storia, per quanto semplice, davvero ben scritta che riesce a essere coinvolgente nonostante alla fine succeda poco nulla. A conferma del fatto che una buona sceneggiatura, se supportata da un cast credibile (e tanta birra...), può tranquillamente sopperire alla pressoché totale mancanza di azione senza per questo risultare noiosa né scadere nella "commedia romantica". 

2) perché, a distanza di quasi due decadi, può essere considerato il bell'aggiornamento di Giovani, carini e disoccupati seppur con le debite proporzioni. La vicenda dei due protagonisti, Kate (la bellissima Olivia Wilde) e Luke (Jake Johnson, conosciuto soprattutto per il ruolo di Nick in New Girl), ricorda quella di Lelaina (la semplicemente incantevole Winona Ryder) e Troy (un Ethan Hawke in stato di grazia): due ragazzi si amano ma non sanno se sia il caso di dirselo oppure no visto che sono grandi amici. Tutto qui seppur con percorsi e risultati non identici per quanto simili. 

3)  perché se a far sfondo a Giovani, carini e disoccupati era, tra le altre cose, il mondo del lavoro e le difficoltà di un gruppo di ragazzi a entrare e far parte dello stesso, Drinking Buddies è girato in gran parte all'interno di un birrificio proprio mentre Kate e Luke lavorano (e flirtano): un'ambientazione originale che fa da naturale completamento alla storia.

4) perché Drinking Buddies non si prende mai troppo sul serio, cosa che di sicuro Tarantino avrà apprezzato molto: il regista Joe Swanberg è perfettamente consapevole di non poter avere troppe pretese e quindi riesce a confezionare un prodotto che, preso per quello che è, finisce con l'essere divertente, genuino e fresco come un birra ghiacciata.   

5) perché, anche se non diventerà un cult (come invece lo è Giovani, carini e disoccupati che tuttora rappresenta uno dei manifesti generazionali degli anni '90), la sensazione che si ha dopo averlo visto, è quella di aver voglia di uscire a farsi una birra con Luke e (soprattutto!) con Kate. 

   






Voto: 2 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)

http://www.magpictures.com/drinkingbuddies/





giovedì 14 marzo 2013

Argo

5 buoni motivi per ammettere finalmente Ben Affleck nel Gotha del cinema grazie a questo suo terzo tentativo da regista (e non solo per l'Oscar vinto come miglior film):


1) perché il meccanismo con cui è costruito dà vita a un circolo perfetto in cui lo spettatore va al cinema a vedere Argo à che è un film di Hollywood ispirato a à una storia vera i cui protagonisti fingono di essere à una troupe cinematografica in Iran che deve girare à un film di fantascienza basato su à una sceneggiatura reale (appunto quella del film Argo) per creare à una storia che sia il più realistica possibile. Come dire, quando il cinema diventa realtà e viceversa.

2) perché è per lo meno curioso pensare che la CIA, per far uscire illegalmente dall'Iran sei diplomatici americani sfuggiti all'invasione dell'ambasciata USA a Teheran del 4 novembre 1979 e al successivo sequestro degli occupanti, dopo una serie di fallimenti politici, pensò davvero a un’operazione come questa (poi definita Canadian Caper) in cui accanto ai suoi agenti lavorarono anche uomini di cinema – veri – come il produttore cinematografico Lester Siegel (Alan Arkin) e l'esperto di trucchi John Chambers (John Goodman) che aveva collaborato a film come Il pianeta delle scimmie e Star Trek.

3) perché anche se come detto si tratta di una storia realmente accaduta, più o meno conosciuta da tutti, e quindi sin dall'inizio se ne conosce l’esito, si viene presi da una tensione non comune mentre i sei ostaggi e il loro “esfoliatore” fuggono da Teheran imbrogliando i Guardiani della Rivoluzione.



4) perché Ben Affleck si dimostra (dopo Gone Baby Gone e The Town) un signor regista: grazie al ritmo che riesce a imprimere e a uno splendido montaggio, Argo passa con disinvoltura dall'essere una storia divertente e ironica che prende in giro gli stereotipi del mondo di Hollywood (strane contrattazioni per acquistare la sceneggiatura, pacchiane conferenze stampa, false letture del copione che ispirano articoli sui giornali di settore…) a impegnato film vintage di spionaggio costruito a suon di intrighi e colpi di scena.

5) perché tra le tante sceneggiature visionate da Tony Mendez (Ben Affleck) e dai suoi soci per mettere in piedi il castello di bugie necessario a rendere plausibile l’operazione della CIA, alla fine viene scelta proprio Argo, un film di fantascienza di serie Z palesemente ispirato a Star Wars che in quegli anni aveva appena dato inizio alla più grande saga cinematografica (e non solo fantascientifica) di tutti i tempi. A tal proposito, tanto geniale quanto commovente l’ultima scena in camera del figlio di Ben Affleck con la carrellata delle sue Action Figures dei personaggi di Guerre Stellari.










Voto: 3 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)

http://argothemovie.warnerbros.com




venerdì 8 febbraio 2013

Cloud Atlas

5 buoni motivi per considerare Cloud Atlas un esperimento dalle grandi, grandissime pretese, a metà tra film indipendente e blockbuster, che sconfinando nei generi raggiunge brillantemente il suo intento:


1) perché l'intreccio delle sei vicende che si svolgono in parallelo attraverso luoghi, epoche (e logiche) diverse, riesce a dar vita a una Storia unica e indissolubile in cui il coraggio di taluni rappresenta il seme che quando germoglia è in grado di ispirare gli atti di coraggio degli altri se non addirittura vere e proprie rivoluzioni. Come un sottile filo immaginario che, scena dopo scena, lega invisibilmente l'esistenza nella sua interezza e complessità.





2) perché il valore aggiunto di Cloud Atlas è un montaggio che tiene abilmente sospesa la narrazione incrociando i sei segmenti con un gran senso alchemico del cinema. Cosa che sicuramente è stata più agevole da realizzare per David Mitchell nel suo romanzo omonimo (L'Atlante delle Nuvole) che non in questo film: ma nonostante lo stesso Mitchell avesse definito il suo libro "infilmabile", la sensazione che si ha durante la visione è quella di un divertente e appassionante caleidoscopio... sostantivo che, tradotto dal greco, letteralmente significa appunto "vedere bello".


3) perché le ambientazioni, dalle isole del Pacifico a una futuristica Nuova Seul, dalla Gran Bretagna di inizio secolo a un mondo post-apocalittico, sono epiche e davvero emozionanti... e che il film entusiasmi o no, finiscono comunque col travolgere anche lo spettatore più riottoso.

4) perché i tre registi (Tykwer, quello di Lola Corre e Profumo, dirige i tre episodi più ordinari, mentre i fratelli Lana ed Andy Wachowski gli altri tre storici/fantascientifici) non si perdono via nei tanti messaggi collaterali più o meno filosofici che il film potrebbe avere (e che tutto sommato ha, se pensiamo ad esempio all'ineluttabilità del destino piuttosto che alla ciclicità degli eventi) e alla fine hanno il merito di realizzare sei film - alcuni sicuramente più riusciti di altri - al prezzo di uno. Qualcuno ha scritto che le sei storie ricordano da vicino le sei facce del cubo di Rubik da scomporre, ruotare e riallineare per tornare alla situazione di perfezione rappresentata dal punto di partenza.

5) perché la quinta storia (ovviamente girata dai Wachowski) è fantascienza allo stato puro con evidenti rimandi ai loro Matrix V for Vendetta, ma anche al Ciclo delle Fondazioni di Asimov e a Fahrenheit 451 di Bradbury che ispira proprio il nome della protagonista (Sonmi-451). 




Voto: 3 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)

http://cloudatlas.warnerbros.com/ 


lunedì 28 gennaio 2013

Django Unchained

5 buoni motivi per considerarsi oltremodo soddisfatti da Django Unchained... anche se purtroppo non convinti fino in fondo:


1) perché dà vita a una gara entusiasmante tra i protagonisti per aggiudicarsi il premio di "miglior attore": Christoph Waltz è sublime; Jamie Foxx è solido e convincente; Samuel L. Jackson è tanto credibile quanto irritante; Leonardo DiCaprio è semplicemente epico! A mio modesto avviso, è proprio quest'ultimo infine ad aggiudicarsi la sfida.

2) perché Django Unchained, che è un omaggio evidente e dichiarato agli Spaghetti Western, è solo all'apparenza un vero e proprio film Western: Tarantino, infatti, attinge da quello che da sempre è il suo genere preferito, ma solo per farne una sorta di "contenitore" e creare in realtà una storia molto più ampia che passa velocemente dal tema della vendetta ad altri meno tarantiniani, quali razzismo, emancipazione e schiavitù. Solo che mentre nella prima parte (che è sporca e polverosa come giustamente deve essere un Western) Django non ha nemmeno una sbavatura e Tarantino è vicino ai suoi consueti livelli di genio, nella seconda finisce - ahi noi - per smarrirsi in se stesso finendo vittima della sua (troppa) voglia di divertirsi.

3) perché il gioco della caccia alle infinite citazioni (Corbucci, Leone, ecc) e autocitazioni (Kill Bill su tutti) appassiona sempre, ci mancherebbe, ma alla lunga non stupisce più e corre il rischio di diventare la caricatura di quel processo creativo che in vent'anni ha trasformato il regista de Le Iene e Pulp Fiction in Tarantino.  

4) perché se è vero che la sceneggiatura raggiunge dei picchi tarantiniani, uno su tutti il discorso degli incappucciati a cavallo prima di assaltare il carro del dottor Schultz, non sembra reggere le quasi tre ore del film e qualche volta si fa un po' indolente e svogliata. Intendiamoci, non si arriva mai neanche lontanamente a essere annoiati, anzi, ma a parere di chi scrive non ci si appassiona alla storia come, tanto per dirne uno, in Bastardi senza Gloria

5) perché da Tarantino ti aspetti di tutto nel bene (una colonna sonora che spazia dalle melodie di Morricone ed Elisa al rap di Tupac che duetta con James Brown) e nel male (la scena in cui la sorella di DiCaprio viene sbalzata via da un colpo di pistola in modo quasi fumettistico) e lo ami a prescindere proprio perché è Tarantino... però è davvero dura accettare l'immagine finale in cui Django gigioneggia in modo ridicolo riducendosi a parodia di se stesso! Di certo Tarantino si sarà divertito un mondo a girarla trattandosi - ovviamente - dell'ennesima citazione, ma io per niente a vederla dato che il troppo stroppia: est modus in rebus anche per Tarantino!                 



Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)




venerdì 4 gennaio 2013

Cosmopolis

5 buoni motivi per considerare Cosmopolis l'ennesimo (questa volta purtroppo solo mezzo) capolavoro di David Cronenberg:


1) perché ti fa scoprire un Robert Pattinson che non ti aspetti: non più l'anonimo vampirello di Twilight ma Eric Packer, un credibilissimo miliardario megalomane, genio e squalo della New Economy, incapace di provare emozioni fossero l'acquisto della Rothko Chapel piuttosto che un folle e insensato omicidioOssessionato dal suo potere e dall'avere ormai tutto (compreso un eliporto sul tetto del suo appartamento di 48 stanze e un bombardiere nucleare in un hangar in Arizona), una mattina esce di casa deciso a chiudere il cerchio andando a tagliarsi i capelli nel malfamato quartiere di Hell's Kitchen dall'altra parte di New York, dal vecchio barbiere del padre, l'unica persona che sembra poter rappresentare un punto di contatto con il suo passato.

2) perché è spiazzante rendersi conto di come il viaggio (allucinato e allucinante) di Eric ricordi da vicino quello di Ulisse nell'Odissea, pur svolgendosi all'interno di una gigantesca limousine ipertecnologica, blindata e insonorizzata che gli fa da casa, ufficio, pied a terre e ambulatorio. La limousine, un non-luogo simbolo della sua estraneità dal mondo e dalla vita, attraversa lentamente ma inesorabilmente una New York paralizzata dalla visita del Presidente e devastata dalle violenza dei no global, dandogli modo di incontrare strani personaggi tra cui eccentrici consulenti e una giovane moglie praticamente sconosciuta, di dilapidare il suo patrimonio speculando in modo insensato contro l'ascesa dello Yuan (nel libro si parlava invece del giapponese Yen), di avere rapporti sessuali occasionali con diverse signore, di commuoversi al funerale di un rapper guru e filosofo, di scoprire in seguito a una imbarazzante visita andrologica di avere la prostata asimmetrica... evento quest'ultimo che lo porterà per la prima volta a dubitare delle sue certezze e della sua onnipotenza. 
  





















3) perché Cronenberg si riavvicina con entusiasmo al suo passato duro e pessimista, a quel genere "fetido" a lui tanto caro, definito body horror, che per anni ne è stato il marchio di fabbrica. 

4) perché è tratto da uno dei romanzi più sottovalutati di Don De Lillo che nel 2003 (!) era riuscito ad anticipare gli eventi, in primis la catastrofe finanziaria di questi ultimi anni. L'omonimo romanzo del geniale scrittore newyorchese, visionario, epico e profetico al tempo stesso, viene ripreso da Cronenberg con molta reverenza, in modo praticamente pedissequo, quasi come se di suo fosse già stato scritto pensando alla sceneggiatura del film. L'unica controindicazione è che i dialoghi filosofici e surreali, a volte più difficili da metabolizzare nel film che nel libro, finiscono col rendere un po' sfiancante il seguire l'evolversi della storia


5) perché è metafora (e se vogliamo anche critica) del capitalismo colto nel suo elemento più autodistruttivo: non tanto il denaro come qualcosa di intrinsecamente malvagio, quanto il sistema economico complessivo (banche, multinazionali, mercati emergenti, svalutazioni monetarie, crisi finanziarie...) che sta implodendo nel suo essere un mondo a sé, isolato e protetto proprio come la limousine di Eric.


Voto: 3 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)


http://cosmopolisthefilm.com/en