1) perché una colonna sonora maestosa ci accompagna con fare evocativo durante la trasformazione di Arthur Fleck nel Joker: lo fa da un lato con meravigliosi brani come Smile e That’s life
di Frank Sinatra a fare da sfondo alle scene più importanti, dall’altro con la partitura classica firmata da Hildur Guðnadóttir, compositrice islandese che affidandosi a oscuri violini, sintetizzatori e percussioni ha
creato cupe composizioni capaci di evocare magnificamente lo stato d’animo
del suo protagonista;
2) perché Joaquin Phoenix è magnetico, intenso come non mai, un folle semplicemente perfetto. Ma al tempo stesso, nella sua sofferta inquietudine, riesce ad apparire anche fragile, imprevedibile e a volte dolorosamente insopportabile. Una recitazione sempre sopra le righe ma mai eccessiva, oltre venti chili persi per risultare ancor più disperato, ma soprattutto un'inquietante risata emblema ultimo della pazzia, ad accompagnare la sua lotta contro una società nemica. Richiamando esplicitamente il Travis Bickle di Taxi Driver (e qui si apre il cerchio con De Niro), Phoenix mette in scena un male reale e diffuso, che porta un individuo disfunzionale qual è Arthur ad essere elevato a simbolo del conflitto
sociale;
3) perché Todd Phillips, fino a questo momento regista solo di commedie sgangherate, è una sorprendente scoperta sia a livello visivo che psicologico, tanto da vedersi consegnare il Leone d'Oro alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia. Tutto ciò al netto di un confronto impari con Scorsese che viene omaggiato di continuo non solo nei rimandi a Taxi Driver ma anche a Quei bravi ragazzi (ancora De Niro) e sopratutto a Re per una notte dove sempre De Niro, pur di diventare un comico affermato, arriva a sequestrare il presentatore di un noto show televisivo. Grazie a una storia che sta tra realtà e finzione, Phillips disegna una Gotham City povera e violenta, simile alla New York degli anni '70, con uno stile sempre sospeso tra il patinato e il ruvido: ci racconta un personaggio noto a tutti ma in modo nuovo e originale perché se è vero che Joker si ispira a The Killing Joke di Alan Moore, nello sviluppo ne prende volutamente le distanze;

5) perché non c'è nessun dubbio che questo Joker non sia un folle qualunque, bensì il vero arcinemico e nemesi di Batman, ragione ultima della sua stessa esistenza: eroe ed anti-eroe, uno nero l'altro variopinto, uno perennemente arrabbiato l'altro sempre ghignante, uno rigido e morale l'altro imprevedibile e anarchico. Ma se è noto come Bruce Wayne sia diventato Batman (tanto che qui bastano un paio di veloci rimandi a villa Wayne e alla scena dell'assassinio dei suoi genitori fuori dal teatro) perché tanto tutto è già stato narrato, nulla invece si conosce delle origini del Joker: per questa ragione Joker non tralascia niente e, anzi, entra così tanto nel dettaglio da arrivare infine a farci dubitare della sua stessa autenticità.
Voto: 4 stelline (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)