mercoledì 8 febbraio 2017

Arrival

5 buoni motivi per cui Arrival racchiude in sé il meglio della fantascienza esistenziale d'autore:


1) perché Amy Adams, il cui talento diviene una parte fondamentale per la riuscita del film, offre una prova degna di quella che aveva garantito la nomination all'Oscar a Sandra Bullock in Gravity: nei panni di una linguista reclutata dall'esercito americano per comunicare con gli alieni, Lousie è costantemente in bilico tra la calma con cui esercita la sua professione infondendo a tutti (alieni compresi) un senso di fiducia che va oltre l'umana comprensione, e la tensione poetica e drammatica che invece riesce a trasmettere nelle scene riguardanti la sua vita personale; 

2) perché i dodici gusci neri sbarcati sulla Terra, non possono non richiamare alla mente il monolite di 2001: Odissea nello Spazio (che a un primo livello di lettura rappresentava l'arrivo di una presenza aliena sul nostro pianeta). In entrambi i casi non si sa come né perché siano arrivati, ma se allora quello che il monolite portava con sé erano la ragione e la coscienza (dalle quali derivava la violenza), in Arrival la logica lascia spazio all'empatia e l'"arma" degli alieni porta con sé un messaggio che diventa amore puro;

3) perché la svolta finale (semplicemente perfetta) che "dipana la matassa", ha sul pubblico la stessa potenza esplosiva di quella di Interstellar: e se Nolan si limitava a chiudere il cerchio, come già aveva fatto in Inception e in The Prestige, qui Villeneuve va addirittura oltre invitando tutti a riflettere in modo profondo sulle scelte e sulle possibilità che a volte ci vengono donate; 

4) perché come in Incontri ravvicinati del terzo tipo Spielberg aveva fatto dei temi del linguaggio e della (mancanza) di comunicazione una componente basilare, anche gli alieni di Arrival si dimostrano interessati a un pacifico e costruttivo dialogo con i terrestri, nonostante le difficoltà legate alla barriera linguistica (e fisica). Volontà che però non viene contraccambiata da tutte la Nazioni, alcune della quali sono pronte a far esplodere da un momento all'altro la loro latente aggressività: il messaggio allegorico che già emergeva dal racconto di Ted Chiang da cui il film è tratto, è ovviamente quello legato alla pericolosità di isolarsi in questo momento storico, finendo col vedere lo straniero/alieno solo come una minaccia; 

5) perché il talento visivo di Denis Villeneuve (già autore degli ottimi Prisoners e Sicario) fa ben sperare per il sequel di Blade Runner che il regista canadese sta ultimando. La sua macchina da presa si muove con disinvoltura e naturalezza tra suggestive inquadrature in penombra e opprimenti scene in cui la nebbia la fa da padrona, tra la misteriosa essenzialità degli alieni e l'imponenza delle loro astronavi, tra il panico che si sta diffondendo a livello mondiale e le pacate inquietudini interne di Amy Adams, tra il minimalismo delle parole e gli ampi dubbi filosofici che ci vuole instillare: ne esce un film d'autore meravigliosamente a metà tra fantascienza esistenziale e un raffinato thriller psicologico. 


Voto: 3 stelline e mezzo (ovviamente nella scala del Mereghetti dove il massimo è 4)


www.arrivalmovie.com








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